Versi per Clotilde Coronaro 1890

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Versi per Clotilde (Inediti pratesiani)
(Il taccuino contiene pure versi copiati da altri scrittori.)
Le pagine forse non sono in ordine.



Pensieri per il piccolo taccuino della
lucciola1
(frammento di carta, inserito come titolo del taccuino)



I tuoi capelli d’oro
Sono come una stella
Che m’irradia il pensier:
Per me cosa più bella
Non c’è nel mondo intier!

E sai perchè o, mia Diva?
Perchè a quei fili d’oro
È avvolto il tuo gran cor!
Un immenso tesoro
Di nobiltà e d’amor!

          Pratesi [espunto: Leopardi]
          --------------------



La treccia che m’hai dato
Dormì sopra il mio cuor
Ah! no, non è peccato
Il tuo pietoso amor!

Io t’amo, t’amo, t’amo!...
Tutto trasfisso in te
Ti bacio in me[?], ti bramo…
E son qua solo, ahimè!!...

          [espunto: Leopardi]
          --------------------



La treccia che mi desti
Mi splende come stella
Nel commosso (inquieto) pensier.
Né v’è cosa più bella,
Agli occhi miei nell’universo intier.

E sai perché, o Diletta?
Perché a quel crine d’oro
È legato il tuo cuor:
Il tuo cuore, un tesoro
Di cortesia, di nobiltà, d’amor.



Cuor desolato, ardente
Che trae col gemebondo
Suo grido il cuore a sé:
Cuor come il mar profondo….
E vincitore… umile cuore egli è!....

Ah l’umiltà che è spada
Anch’essa in mano al forte
Che mi prostro a’ tuoi piè!
Vorrei fino alla morte
Libare i baci che tu porgi a me!...



Ora più verde il maggio
Ridermi intorno io miro,
Cantar odo più dolce l’usignol;
Più azzurro lo zaffiro
Del ciel mi sembra, e più lucente il sol.

Così fluir più intensa
L’ombra armoniosa io sento
E della vita il fremito, il desir!
Come è dolce il concento!
Amore, amore, unico mio sospir!

          --------------------

          Pratesi [espunto: Leopardi]



Sentenze dei savi contro l’amore

Teofrasto2 chiama l’amore passione d’a-
nima oziosa
; Diogene3 il cinico lo
chiama il negozio degli sfaccendati.

     Ei nacque d’ozio e di lascivia umana
     Nudrito di pensier dolci e soavi
     Fatto signore e dio da gente vana.
               Petrarca4



Non nudrir di lusinghe un van furore
Che di pigra lascivia e d’ozio sorge
          Poliziano5


In ozio vivi
Che sull’ozio, l’amor sempre germoglia
          Tasso sull’Aminta6

E Euripide7 dice che Afrodite (Venere) è lo
stesso che Afrosina (stoltezza):



e l’Ariosto8
-“È che è altro Amor se non insania
"A giudizio dei savi universale?

E il Byron, che se ne intendeva, chiama
l’amore “una faccenda ostile”9

S. Luca chiama la donna canna
agitata dal vento
;10 e Esiodo, anti-
chissimo poeta, afferma che
credere alle donne è come credere
ai ladri
.11 Quanto a Esiodo parla
egli delle donne prese tutte in un
mozzo, come Arturo Shopenhauer[sic]



che le chiama “fanciulloni miopi,
prive di memoria e di previdenza’,
viventi solo nel presente, dotate
dell’intelletto comune agli animali,
con appena appena un po’ di ragione,
bugiarde per eccellenza, e nate
a rimaner sotto perpetua tutela”.12



                    -Ricordo-

-Tra quelle rispettabili persone
Iersera mi parevi un fior giubile
Che in mezzo al gel della conversazione,
Spirasse la letizia dell’aprile.

-Riluceva ne’ vaghi atti la bionda
Tua chioma in un fulgor di giovinezza;
E nella faccia pallida e gioconda
C’era apparsa un’insolita dolcezza.



-E quando un poco in me tenevi fiso
L’occhio, mal conteneva il labbro argento
Un esultante e timido sorriso
Che ricordo, promessa era, e saluto.

-Deh, come dolce il cor n’era trafitto!
E nel tuo volto tutto rileggeva
Le cose appassionate che mi hai scritto,
Le cose che il tuo labbro mi taceva.

-La noja intanto pel maligno loco
Filtrava, e il favillio cortese e vano,
Sguardi accorti e nemici il nostro fuoco




Spiavano da presso e da lontano.

-Talun s’accorse del gentil mistero?...
Non so: ma un tedio grave m’assalia
Quando dinnanzi portentoso e fiero
Quel conte [Gaetano Coronaro] corpulento ti venia.

-Superbo ti guardò siccome suole
Il sultano guardar la favorita,
Oracoli parean le sue parole,
E avea un grand’aria scimmunita.

-Nella tua veste eletta d’educanda



Tu ad ora ad or sommessa mi parlavi;
Al conte rispondevi umile e blanda,
E in segreto la fuga meditavi.

          --------------------

Con te, mio cuore m’addormentai,
     Con te, mio amore mi ridestai:
     Con te mi giaccio, con te cammino
     Con me ti porto come il destino!
     Tu a me ti stringi, dalle pupille
     Mi getti baci, dardi, scintille!
     Se bene o male sia, non lo so
     Ma forte immenso ben ti vo!



“Grande e onesto modo di
vendetta è il perdonare”
dice uno di que’ savi13 che
sono la intelligenza del
mondo. E un altro dice:
L’amore fa scusare tutto,
ma bisogna essere ben sicuri
che vi sia dell’amore
14
Ora, certe sensazioni non
hanno nulla che fare col-
l’amore, tanto è vero che
si possono provare indiffe-
rentemente e egualmente
tanto con l’uno come con
l’altro. Ma tutto è perdo-
nabile: se non che quello
è un morbo che fa male
e che va curato: un mor-
bo che vi lascia in preda
a un disordine, a una vio-
lenza cieca, istintiva,



da cui non si può riceve-
re che un danno immen-
so. Nell’amore si sen-
tono da molti due corren-
ti, o due forze opposte,
l’una che crea, e l’altra
che scompone e distrugge.
L’una è l’intelligenza,
il valore, la sincerità,
l’affetto; nell’azione è
l’eroismo, il sacrificio;
nel pensiero è l’arte;
l’altra è l’egoismo bru-
tale, il caosse simile
a quello che forse era nel-
la materia prima che
Dio vi spirasse dentro
alcunchè di divino.
     Tra queste due correnti
si trova la povera anima
umana, ma la seconda



trascina i più, ed essa
nella vita si traduce nel-
la sordità morale, nella
frivolezza e nell’asso-
luta impotenza di pen-
siero e di affetto vero.
Bisogna dunque opporre
resistenza, negl’inci-
tamenti, a tale seconda
influenza che non è l’a-
more, ma la degadazione,
e la morte e tanto più
resistervi quanto più ti
aspira al bello, al decen-
te, al gentile, al divino.
Nulla di più geniale,
di più dolce, di più in-
telligente, di più confi-
dente e buono d’un caro
visino infantile: è



l’innocenza, è l’alba
pura che precede il sor-
gere di quelli che il
Manzoni chiama i
Terrestri ardori.15 Quel
Visino esprime ciò che
V’è in sé di migliore:
la parte essenziale che
un’altra parte, pur essa
ereditata nascendo, può
offuscare e che il mondo,
in contatti, gl’incitamen-
ti, le impressioni o le
influenze brutte e sini-
stre possono rubare in-
tieramente a noi stessi:
e allora nel torbido vor-
tice ci perdiamo. E al-
lora con la coscienza fred-
da, e il cuore depravatis-
simo e duro, e la men-



zogna sempre pronta
sul labbro ci crediamo,
vinti tutti gli scrupoli,
passati tutti i termini,
gente seria! .....

          --------------------

Tous les corps, le firma-
ment, les étoiles, la terre
et ses royaumes, ne valent
pas le moindre des esprits;
car il connait tout cela,
et soi, et les corps rien.
Tous les corps ensemble, et
tous les esprits ensemble, et toutes leurs productions,
ne valent pas le moindre
mouvement de charité;
Cela est d'un ordre infini-
ment plus élevé.

          Pascal. Pensées, cap.XII



Diseur de bons mots,
mauvais caractère.
          Pascal- Pensées. Cap VIII

          --------------------

Qu’est-ce que ton devoir?
L’’exigence de chaque jour.
          Goethe. Maximes16.

Comment peut-on appren-
dre à se connaître soi-même?
Ce n’est pas par le raison-
nement, c’est par l’action.
Essaie de faire ton devoir
et tu verras tout de suite
ce que tu vaux.
          Goethe. Maximes17.

Onorate le donne! Esse
infiorano di celesti ghir-
lande lo spinoso sentiero
della vita. Esse formano



i felici nodi dell’amore
e sotto il casto velo delle
grazie allevano, con sacra
mano, l’immortale pian-
ta de’ nobili sentimenti.
          Schiller18

          --------------------
La donna è cosa rispet-
tabile all’infinito.19
          Tommaseo


          --------------------
La gentilezza della donna
non la leggiadria della sua
persona potrà vincere il
mio cuore.
          Shakspeare[sic]20


          --------------------



       "La Donna"
(Dallo spagnolo di D. Leopoldo Augusto
De Cueto—Traduz. Di Salvator [?]21
          --------------------
- Perchè il suo petto, come eolia lira
De l’opere di Dio vibra a l’accento?
E, benchè lieta, il suo core sospira
Se i campi guarda, o il mare, o il firmamento?
- Perchè del duolo il grido, la carezza,
D’un bimbo, del mendico il chieder roco
Quante voce[sic] ha sventura o tenerezza
Fan palpitare il suo cuore di fuoco?



- Perchè ella da la sua sublime sfera
D’ogni alta cosa a bella ode l’incanto,
De la donna è così la vita intera:
Ammirazione e amor, martirio e pianto.
- Viver qual fiore al nembo ognor vicino
Esser bella e pura è la sua gloria;
Tenera, consolare è il suo destino;
Amar, soffrire, pianger la sua storia!...
          --------------------




       -Sonetto-
Trovar vuoi tu conforto al tuo dolore?
     Guarda lassù nel ciel, cara sorella,
     D’infra le stelle cerca la più bella,
     E fissa attenta in essa il guardo, il core.
Dimmi, non senti un ragionar d’amore
     Scendere a te da ben nota favella?
     Il duol da l’alma, dì, non ti cancella
     Quel raggio d’immortal pure [sic] splendore?
Non senti come l’animo si scuote
     E pianto, morte, duolo, tutto oblia
     Per l’arcano poter di quella stella?
Quando dunque il dolore ti percuote
     Ti volgi ad essa e sclama: “Oh Madre mia”



Non mente il cor; la Madre nostra è in quella!...
          --------------------
               E. V. M.22

     L’Ave Maria
Ave Maria! Sì tenero
     Il nome tuo mi suona,
     E tale a me ne l’anima
     Senso d’amor ragiona
     Che il labbro non può esprimere
     E muto si ristà.
Ave Maria! Se vivere
     Io deggio sulla terra
     Fra gli urli irresistibili
     D’una tremenda guerra



     Deh non lasciarmi immemore
     Senza la tua pietà.
Ave Maria! Se fervida
     Pregando te la sera,
     Manda quest’alma un gemito
     Unito alla preghiera,
     D’inconsolate lacrime
     Tu sai che figli egli è…
Ave Maria! Se provvida
     Vegliasti con amore
     Su me che nata a piangere
     Sol vissi di dolore
     Fa che l’estremo anelito



     Mandi chiamando Te!
          (Emilia Vanni Moscatelli)
          --------------------
         Pates amor…..
Se il mar bacia le sponde, ei dice: Amore:
     È amor se il prato par che ne sorrida;
     Brillan le stelle di luce d’amore;
     Nel seno delle cose l’amor s’annida.

Amore è scala al Vero eterno, amore
     Al primo patto social fu guida;
     Vita a confin dell’universo è amore:
     Beato chi in amor vive e si fida!



E pe’ mortali è Dio forza d’amore
     Raggio supremo dell’amore è Cristo
     Il Vangelo è divin speglio d’amore.

Regna il Bello purchè grazia d’amore,
     Regna il Buono d’amore s’è l’acquisto
     Figliuol del cielo, io ti saluto, amore!

               (T. Del Bino
               (Dalla Babilonia)
               (di Firenze)
               (Aprile 1890)



“Quando il cielo benefico si degnò sorri-
dere all’uomo, gli donò l’Amore e
l’Innocenza—ma il loro regno fu
troppo breve—celebravamo i loro deli-
ziosi sacrifizj sull’erba e sui prati fra
il profumo dei fiori.”
“Ma, quando il Creatore, offeso, ma-
ledisse l’uomo colpevole, scatenò
sulla terra la Lussuria, il più
terribile dei flagelli.”

          --------------------



Per le Nozze di Lidia Bandini e Gaetano Zanoboni
          --------------------
Nube dal mar s’inalza
     E leggera per l’alto etere muove,
     A ricercare altrove
     Nube compagna, e formar lor viaggio
     Dipinse entrambo d’uno stesso raggio.

Nella viva foresta
     L’arbor di presso all’arbore s’inchina,
     Lo scoppio e la ruina
     Sfidano insiem del turbine, e gementi
     Si stringono, se in ciel pugnano i venti.



Or come nube a nube
     E come fronda si congiunge a fronda,
     D’amore sitibonda
     L’anima corre all’anima, ed unite
     Son le lagrime e i gaudi di due vite.

Spuntano in primavera
     I fiori, tal di vita nell’aprile
     Spunta in alma gentile
     Amore, e vola l’alma innamorata
     Come colomba dal disio portata.

Gentil Fanciulla, apprendi
     Portentoso mister: le candid’ale



     Dell’anima immortale
     Schiudi al mattin novello: Amore, Amore[?]
     L’onnipossente Dio ti parla al core.

Sulla faccia dell’acque
     Vaga il divino spirto, e su i profondi
     Abissi scheggia, e i mondi
     Ne favellano, e i campi, i mar, le selve
     E le spelonche e le fuggiasche belve.

Amor fa dolce il pianto
     E gentile la morte e la colora
     D’una rosata aurora
     Che allo spirito al cielo eretto e fiso



     L’estasi svela d’un lontano Eliso.

Come foglia d’autunno
     Trema un’anima sola, e intenebrata
     Vede la sua giornata
     Tosto cader… Così dileguar suole
     Giorno invernal che non conobbe il sole.

Il pieghevole tralcio
     All’olmo giovinetto si marita
     Così donna la vita
     All’uomo lega e il verecondo core,
     Accesi entrambo d’uno stesso amore.



Tu di non fiacca prole
     Sii genitrice: intemerato affetto
     Rallumini il tuo tetto
     Modesto, a un riso di gioconde paci
     In mezzo ai vezzi de’ tuoi figlie e ai baci.
               Mario Pratesi

(Firenze, 1869)
Tip di M. Cellini e C.



[la pagina precedente fu strappata]

aridità e ad una freddezza
di cuore spaventevole, e arden-
te solo di corruzione.
È provato anche nelle cose
fisiche che ti corrompono,
questa calda fermentazione:
si riscaldano anche i cadaveri
quando si decompongono.
Se l’amore dovesse non
essere se non quel turpe
Diletto chiamato “l’apice
del piacere
” e uno scambio
di parole e di lettere tenta-
trici, maledetto un simile
amore che non è tale!
Circe secondo la favola greca
cangiava gli uomini in
porci. È Omero, il vecchio
Omero, che racconta la sto-
ria23, la quale non è se
Non l’immagine della
donna trista e viziosa.
Circe e Beatrice24 e Messa



lina25 e Santa Caterina da Siena26,
Taide27 o Cornelia28 o Lucrezia29
romane in questi opposti
caratteri femminili si ha
l’estremo della bassezza e
dell’altezza a cui può arri-
vare la donne. Beatrice,
Santa Caterina, Cornelia, Lucre-
zia e altre che la storia ono-
ra, fondano la casa e la
nazione; Circe, Messalina,
Taide e altre che si potreb-
bero nominare sono furie
dissolutrici. Bisogna di-
strarre la mente da ogni
reminiscenza o pensiero
di quel genere; lavorare
di lena nove ore al giorno;
occuparsi dell’educazione
dei figlioli, dell’ammini-
strazione seria della casa;
leggere non romanzi, ma
libri di storia, scrivere, fare



estratti delle letture, occuparsi
di musica non molle ma
difficile e fortemente pensa-
ta (la musica di Wagner); pas-
seggiare qualche ora ogni giorno
all’aria aperta; meditare gli
effetti tremendi di certe colpe,
pensare ai mali infiniti
per cui geme il genere uma-
no, agli strazi della povertà,
ai dolori di tante anime che
non ebbero e non hanno nulla
di ciò che Dio e la fortuna
elargirono a certuni; pregare
di cuore ogni giorno e sempre
che insorga in noi la tempe-
sta; soffrire rassegnati e
buoni.

Quanto è comodo il sodi-
sfare sempre le proprie vo-
glie e poi gettare la colpa



sugli altri e credersi la
vittima! Nè bisogna credere
neanche che ciò provenga
da temperamento ardente:
al contrario è conseguenza
d’una gran fiacchezza, d’un
gran disordine morale e fisico;
è una malattia del vizio e
dei tempi corrotti. Se i popoli
grandi e sani che fondarono
la civiltà, ne fossero stati
affetti in simile modo,
nulla vi sarebbe nè di buono
nè di bello in questo mondo.
La sensualità raffinata e
morbosa è l’abisso che tutto
ingoja; è il malgenio
che può condurre (come
avviene non di rado, come
avvenne, per esempio,
sulla persona del princi-
pe imperiale d’Austria



e della sua amante)30 al sui-
cidio e alla pazzia; e quan-
do non genera tali effetti,
è madre sempre di viltà, di
imbecillità, e snervatezza.
I tiranni l’adoperarono
come strumento di servitù;
eccitarono e lusingarono
i sensi perchè la vergogno-
sa mollezza che ne deriva,
rendesse possibile il loro
impero, e per più di tre
secoli l’Italia lo seppe e
pur troppo! E se gli uo-
mini che la rialzarono
dal fango e tra questi
Massimo31 , fossero stati
schiavi del senso, oggi
l’Italia sarebbe ancora
sotto il ben meritato ba-
stone tedesco.
La prova d’un vero amo-



re si riscontra nell’amici-
zia non di sole parole vane:
un’amicizia profonda e
che si vorrebbe fosse santa
.
     Alcune donne difendono
il loro sesso con una virtù
sublime, e sono le sante
che finalmente hanno in
sè medesime il premio del-
la loro vittoria; ed è una
nobile coscienza, la pace
dello spirito, la grande
felicità del sentirsi più
forti delle passioni, del
sentirsi buoni, assennati.
Altre donne che non im-
pararono a vincersi, che
si arresero troppo e sempre
divengono futili, sprege-
voli e stolte, divengono
la lupa di Dante che



Dopo il pasto ha più fame che prima32.

E tali donne sono le furie
che contaminano l’inno-
cenza, ed estendono la cor-
ruzione sociale.
     Alessandro Manzoni uni-
va tanto alla finezza del-
l’animo la forza e la pro-
fondità della mente; aveva
così la coscienza delicata
e netta
che Dante attri-
buisce a Virgilio, che non
volle mai scrivere nulla
d’amore, temendo che le
sue parole potessero essere
perniciose come eccita-
trici che altrove egli chia-
ma empia.
“ Tale al pensier, cui l’empia
Virtù d’amor fatica”33



empia virtu cioè potenza
crudele per i pervertimen-
ti o le conseguenze tragi-
che a cui può condurre,
e per quello che fa soffrire.

----------------------------------------

Delle lacrimette34 io versai
     “Pari alle stille tremule brillanti
     Che alla nova stagion gemendo vanno
     Da i palmiti di Bacco…
(nota di Pratesi: i palmiti di Bacco sono i tralci
delle viti)

------------------------------------------

Anche l’oro ha le sue
scorie che non appartengo-
no a lui, ma ai contatti[?]

------------------------------------------

Non bisogna prostrarsi
a terra nelle viltà e
nelle stoltezze del senso.
Persuadersi che da esse<



non può venire che una
orribile degradazione mo-
rale e fisica: le malattie,
il dolore, la servitù, la tri-
vialità del sentire e dell’
operare, l’intelletto ottuso
come occhio infermo che
più non vede le altezze,
nè sa discernere il bello
dal brutto.
A misurare la corruzio-
ne di chi nell’amore non
sa rispettare, bisogna pen-
sare che essi pervertono
nel modo più abbietto l’a-
more che è la più santa
delle nostre inclinazioni,
ma essi non amarono mai.
Uno dei primi rimedii
è la religione vera del-
l’animo, il quale non
può comunicare con lui



nè ricevere da lui le ispira-
zioni e i conforti che gli uo-
mini non sanno dare, se
non quando è puro, è buono,
è pietoso. Molte volte, ed
è questo un segno del gua-
sto morale, non si riflette
abbastanza come la reli-
gione imponga che alle
parole buone o alle
pratiche pie, debbano
corrispondere i fatti.
Altrimenti che cosa è
la religione anch’essa,
o l’esercizio delle pratiche
religiose, se non una com-
media o una pantomima?
Tale non può essere mai
per gli intelletti sani,
per le anime giuste e
profonde ma per la gente
frivola e superficiale, e



per i popoli che si disfanno
come si disfaceva il popol
d’Israele quando Isaja
(Cap.29 V.13) gli muoveva
questo rimprovero:
Questo popolo mi onora
con la sua bocca e con le
sue labbra, e il suo cuore
è lontano da me
.”
Avviciniamo dunque
il cuore a Dio! Si può
bene non udir messa nè
confessarsi ma essere
religiosi nelle opere e ne’
pensieri. Altrimenti
una religione siffatta
non è che la religione
ipocrita degli schiavi,
non de’ forti e liberi cuo-
ri.
Bisogna procurare di tenere
ben vigile il cuore e la ragione.



Un valentuomo lasciò scritto
“che la poesia del Manzoni
gli esce dal labbro ed entra
nei cuori dignitosa e conso-
latrice come una legge mo-
rale.35

          --------------------

La condotta che temiamo
è di una logica terribile
quanto alla dipendenza
degli effetti dalle loro cagioni
(che, in questo caso sarebbe
la qualità dei costumi)

          --------------------

Non bisogna intendere la
donna, ossia la moglie e
la madre, in modo falso
e grossolano, se si crede
che ella non debba essere
se non una specie di pecora
paga[?] della stalla domestica
aborrente da ogni cultura



e bigotta in chiesa, e senza
troppi scrupoli nella camera
matrimoniale. Perchè in una
esistenza così materiale, sen-
z’alito spirituale che la elevi
e la purifichi un poco, quale
educatrice ella potrà essere
de’ suoi figli? Senza quei van-
taggi intellettuali che ali-
mentano lo spirito e gli dan
forza di non essere signoreg-
giato dal corpo?
Per alcuni leggere la
poesia del Manzoni è
una dissipazione imper-
donabile ad una madre che
ha tre figliuoli!!

          --------------------

[a matita, mano di Pratesi: Lettere mie a Clo(tilde)]



no 000,342=cinque
no 00040,430=500
Polizza no 19893 – 6 ottobre ‘91



[frammento di carta inserito nella tasca interiore della copertina]

Tu m’apparisci sì buona in certi momenti,
che io credo che se un nuovo Salvatore del
mondo dovesse scendere in terra, egli sce-
glierebbe il tuo seno come quello della più
pietosa e della più amorevole delle donne.


__________
1.Il nomignolo che Pratesi usava per Clotilde Coronaro.
2. Teofrasto (371-287 aC), filosofo greco. La frase appare nel libro IV (Florilegium) dell’Antologia di Giovanni Stobeo. “L’amore è la sofferenza di un’anima disoccupata”. Pratesi cita qui e sotto dai commenti dell’Abate Vincenzio Nannucci alle Stanze per la giostra di Angelo Poliziano (Firenze: Magheri e Figli, 1812), Annotazioni, pp.11-13.
3. Diogene il cinico (412-323 aC), filosofo greco. Citato nei commenti dell’Abate Vincenzio Nannucci alle Stanze per la giostra di Angelo Poliziano (Firenze: Magheri e Figli, 1812), Annotazioni, pp.11-13.
4. Francesco Petrarca, Le Rime. Del trionfo d’amore 1, 82-84. Citato nei commenti dell’Abate Vincenzio Nannucci alle Stanze per la giostra di Angelo Poliziano (Firenze: Magheri e Figli, 1812), Annotazioni, pp.11-13.
5. Nei commenti alle Stanze di Angelo Poliziano, Libro 1, 13, 3-4. Pratesi cita qui i commenti dell’Abate Vincenzio Nannucci alle Stanze per la giostra di Angelo Poliziano (Firenze: Magheri e Figli, 1812), Annotazioni, pp.11-13.
6. Torquato Tasso, L’Aminta, II, 2, 993-994. Citato nei commenti dell’Abate Vincenzio Nannucci alle Stanze per la giostra di Angelo Poliziano (Firenze: Magheri e Figli, 1812), Annotazioni, pp.11-13.
7. Euripide (c.480-c.406 aC) poeta e drammaturgo greco. Citato nei commenti dell’Abate Vincenzio Nannucci alle Stanze per la giostra di Angelo Poliziano (Firenze: Magheri e Figli, 1812), Annotazioni, pp.11-13.
8. Ludovico Ariosto. Orlando furioso. Canto 24, 1, 3-4. Citato nei commenti dell’Abate Vincenzio Nannucci alle Stanze per la giostra di Angelo Poliziano (Firenze: Magheri e Figli, 1812), Annotazioni, pp.11-13.
9. George Gordon, Lord Byron (1788-1824). Pratesi cita il commento di Giuseppe Giusti nella Raccolta di proverbi toscani compilati insieme a Gino Capponi (1853).
10. Dal Vangelo secondo Luca, 7:24. Il riferimento biblico non specifica la donna. Pratesi forse si riferiva al commento di Egidio Menagio trovato nel capitolo “Osservazioni della scena II dell’Atto I” (p.183) del volume Aminta, favola boscarecca di Torquato Tasso (Venezia, 1736).
11. Poeta dell’VIII secolo aC. scrive che colui che si feda della donna, si fida dei ladri. Le opere e i giorni v. 375.
12. Pratesi si riferisce al commento di Schopenhauer in Parerga, und Paralipomena (1851) ma certamente cita la versione offerta da Francesco de Sanctis nel saggio “Schopenhauer e Leopardi”, Rivista contemporanea 14, 61 (dicembre 1858), 378.
13. Esempio per la voce “vendetta” nel Dizionario della lingua italiana. V.7 (Padova, 1830, p.318) che cita gli Ammaestramenti degli Antichi, raccolti e volgarizzati da Fra Bartolommeo da S. Concordio (Firenze: 1661 e 1734).
14. Lettera di Prosper Mérimée a Jenny Dacquin (1830).
15. Adelchi, Atto IV (1822).
16. Maximes et réflexions. Première partie (1833).
17. Ibid.
18. Friedrich Schiller (1759-1805), filosofo, poeta, e drammaturgo tedesco. Amico di Goethe e ideatore del movimento Sturm und Drang. La citazione si trova nel volume Würde der Frauen (1796).
19. Citato in La donna colle sue virtù e co' suoi vizi a cura di Francesco Giuntini (1856), e in seguito anche in altri trattati sulla dell’epoca.
20. William Shakespeare (1564-1616), insigne drammaturgo inglese. Pratesi cita da La bisbetica domata, 4, 2.
21. Leopoldo Augusto de Cueto y López de Ortega, Marchese di Valmar (1815-1901) uomo politico e scrittore spagnolo.
22. Probabilmente Emilia Vanni Moscatelli (vedi sotto). Di Viterbo, poetessa (una delle sue poesie fu musicata da Carlo Bellini e pubblicata da G. Benenati). Fu anche artista; un suo ricamo in seta fu esposto al Museo Artistico Industriale (Roma) all’Esposizione del 1887.
23. Libro X dell’Odissea.
24. Beatrice Portinari (1265-1290), donna la cui morte ispirò a Dante Alighieri le poesie della Vita Nuova.
25. Valeria Messalina (25-48 dC), consorte dell’imperatore Claudio, considerata una figura immorale e senza scrupoli.
26. Caterina di Jacopo di Benincasa (1347-1380), santa mistica, patrona d’Italia e d’Europa.
27. La cortegiana Taide appare nella commedia Eununchus di Terenzio quale adulatrice. Così la dipinge anche Dante nella Divina Commedia, Inferno XIII, 129-136.
28. Cornelia (II secolo aC), matrona romana di cultura e saggezza, madre dei fratelli Gracchi, noti riformisti politici.
29. Lucrezia (VI secolo aC) nobildonna romana che si sacrificò dopo essere stata violentata da Sesto Tarquinio. Il padre e il marito si vendicarono cacciando i Tarquini da Roma, dando nascita così alla res publica romana.
30. Allude alla nota faccenda del principe dissoluto Rodolfo d’Asburgo-Lorena (1858-1889), il quale incapace psicologicamente di affrontare le situazioni problematiche in cui si trovava, si suicidò dopo aver ucciso la giovane amante, la baronessa Maria Vetsera (1871-1889).
31. Pratesi si riferisce qui a Massimo Taparelli, marchese d’Azeglio (1798-1866), patriota italiano, pittore e romanziere. Fu anche un forte sostenitore del Risorgimento. Era il nonno di Clotilde.
32. Divina Commedia, Inferno I, 49. La lupa simboleggia la cupidigia o l’avarizia.
33. Alessandro Manzoni, “La morte d’Ermengarda (Inno funebre)” in Inni sacri ed odi (1822). Manzoni era il bisnonno di Clotilde.
34. L’allusione e i versi che seguono sono di Giuseppe Parini, da “Il mezzogiorno” in Il Mattino, il mezzogiorno e la sera. Poemetti tre (1774): “e sorge intanto/al suo pietoso favellar dagli occhi/Della tua Dama dolce lagrimetta/Pari alle stille tremule, brillanti,/Che alla nova stagion gemendo vanno/Dai palmiti di Bacco entro commossi.
35. La citazione, attribuita a Niccolò Tommaseo, si trova in Alessandro Manzoni, Cori delle tragedie, Strofe per una prima comunione, Canti politici, In Morte di C. Imbonati, Urania, Sermoni, Frammenti d’inni, versi e sonetti dichiarati e illustrate da Luigi Venturi (1880), vii.

 
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