Luisa Anzoletti a Mario Pratesi

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                               Milano, il 7 luglio 1915

Mio caro Amico,

    Dovrei dirle parole di scusa per
il prolungato indugio a riprender la
penna, dopo che il Suo "Discorso" in
memoria del Pittore e Amico dolcissimo,
e la "Novella – Troppa grazia, Sant'An-
tonio!" del cui dono ancora non La
ringraziai, vennero ad aggiungere tante
voci nuove alle armonie interiori del-
l'amicizia. Ma, prima, due settimane
d'indisposizione mi tolsero la possibilità
d'occuparmi; e, contemporaneamente e poi,
seguirono giorni così tristi per tutto un com-
plesso di cose dovuto alle circostanze indicibi-
li del nostro paese lassù! – giorni,
in cui la forza per noi stessi vien meno
e bisogna averne per gli altri! -
Non voglio soffermarmi con Lei in questa
pena: dirò solo, che l'unica ragione
di conforto è quella di poter partecipare
col sacrifizio nostro ai sacrifizii comuni,
in questa grande ora storica, che tanti ne chiede.


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In mezzo alle tristezze, ho letto – e
quante volte non vi tornai sopra! -
il Suo Discorso, nel quale il Franchi
risorge e rimane con noi in luce d'im-
mortalità. Oh, s'ebbi ragione dicendo e
scrivendo che la commemorazione del
Franchi non la poteva fare degnamente
che Mario Pratesi! Io non conosco
esempio d'altra sì perfetta armonia
di spiriti; per cui l'arte dello scrittore
sappia inviscerarsi così a fondo nell'arte del
pittore, e quasi farsi anima sua propria,
rivelatrice e giudice di se stessa. Forse
che nella vita futura la luce della verità
nella sua pienezza, senza nebbie e senza
schermi, si dovrà fare così; e beato
chi sarà degno di quel giudizio, nel
quale l'intelletto che scruta si
perfeziona in virtù dell'amore
che esalta!
    Ella ha ritratto la figura intera
del Franchi artista e uomo, cogliendo


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a meraviglia le singolarità da cui risulta
il tipo caratteristico, che tra mille non
si può confondere con nessun altro e non
ci potrà uscir di mente mai più. Ella
è proprio il pittore che tratta la penna,
e ha linee e colori da dipingere le
fattezze esterne e quelle dell'anima.
Per esempio, quanto bene non rende il lato
forse più originale dell'Amico nostro la
osservazione acuta, che la sua era "una
gagliarda umiltà emulatrice"; e
quanto più di rilievo non acquista nel
suo candore la elevatezza innata del-
l'artista, per l'ombra che gli si addensa
intorno con l'incapacità dei "mediocris-
simi" di riconoscere il valore, e per
l'ingegno con cui ne abbassavano i
meriti! – Lo stesso ritratto fisico
del Franchi non diviene forse una
limpida trasparenza del suo spirito,
reso così com'Ella lo ha saputo rendere?
E quanta vivezza ottiene il quadro
con altre belle figure raggruppate


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lì di scorcio, ma pur così sentite, intorno
al pittore nostro, sullo sfondo di quei tempi
e di quella vita senese, de' quali par di
respirar l'aria! Col Mussini e col Guasti,
il grande, amato maestro e il provvido fautore
e rivelatore, ecco la compagnia dei colleghi e
degli amici più cari; nella quale pur si
sente tanto la presenza di Lei; benchè
Ell'abbia voluto lasciarla indovinare più che
non metterla nella piena luce che le è
dovuta. Ed io ricordo con quanto calore di
affetto e d'ammirazione il Franchi parlava
di Lei; e ricordo anche l'espressione
speciale del suo viso quando, una volta,
venne in discorso la profonda conoscenza
critica con cui Ella, artista delle lettere,
sa giudicare in fatto di pittura.
Con una sola osservazione Ella dà luce piena
su ciò che costituisce in lui veramente
il sommo dell'eccellenza, ed è: la
"facoltà d'individuare il carattere" nelle
sue figure, e d'esprimere le commozioni
umane creandone de' veri tipi di vita interiore.
Donde il pittore che grandeggia soprattutto nel
rappresentare e quasi incarnare "la qualità


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che distingue (così in pittura, come in musica e
in poesia) l'arte italiana... ed è l'espres-
sione chiara, semplice e ben definita
dei sentimenti". Ed egli vi grandeggia come
"il pittore classico dei sentimenti cristiani"
classico per il culto della forma bella onde
rivestì le immagini ed i misteri, della
sua fede, mentre questa fu sentita da lui
con l'anima ingenua e appassionata
del medioevo.
    E quale rivendicazione Ella fa, con brevi
cenni indimenticabili per l'acutezza delle
vedute e il profondo sapere, di quest'età
tutta imbevuta del soprannaturale nella
sua rudezza barbara ed eroica! Non
superata che dall'altra rivendicazione trionfale
della fede religiosa, quale "il pio e
umile pittore" la sentì, raccogliendosi in
disparte dal proprio tempo, per non
ascoltare altre voci che quelle cui mirava
intenti, nella sua mente, i beati abitatori
del cielo. Oh, si può ben ripetere, amico
mio, riferendola a Lei, nel veder fiorire
in queste pagine "una fede sì fresca,


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mentre è sì arida l'età nostra, "quella
immagine del Giordani, la quale si
addice a tutti gli aranci in gennaio,
di cui la natura creò il miracolo
per la storia dell'arte. Perchè, solo
può parlarne così quegli che una tal fede
ha in cuore.
     Ma nel quadro dove l'orizzonte si allarga
e sconfina in una sì ampia sintesi
filosofica, trovano pur luogo le analisi
particolari dei dipinti, come per Giuseppe
venduto dai fratelli e per quelle scene
dell'Oratorio di Santa Caterina, nella
cui descrizione Ella volle sì specchiare tutta
l'ingenuità e la poesia della mistica
leggenda.
     L'amicizia, che tutto illumina, non
abbaglia tuttavia per soverchia luce
l'occhio del critico. Quell'occhio, che
seppe vedere nel Bazzi1 il sublime
e l'impari pennello non poteva
chiudersi indulgente a qualche diminuzione
di potenza nelle pitture del Franchi.
Ma, appunto perchè l'amicizia non si offendesse,
il critico sapiente e affettuoso volle anche Lui


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inalzare il pittore suo a quell'altezza donde
si può scorgere il diminuito miracolo d'arte
nel meraviglioso dipinto del Bazzi in
San Domenico: nel quale, forse, intese
l'autore di far sentire che non gl'importava
affatto di dare una significazione al
viso della sua Santa Caterina svenuta
poichè lo spirito assente non poteva
più, quel viso, farlo parlare.
    Questa lettera non avrà più termine, se
non trovo il modo di staccarmi dal caro
argomento, che mi continua a suggerir del-
l'altro da dire - senza ch'io arrivi a dire
abbastanza. Ma nel separarmi da esso, sento
che noi ci riuniremo sovente in ispirito
su quel Monte della Trasfigurazione, dove
per opera Sua, il pittore e l'amico
nostro indimenticabile ci chiama a
parte de' suoi cieli, senza più abbando-
nare la terra. – Le ripeto grazie, e
grazie, con cuore commosso. E ripeto
a me le parole generose di bontà e di
affetto, ond'Ella mi volle dedicare le
pagine preziose; le ripeto col sentimento
che solo può farmene degna: il desiderio di meritare.


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Da quasi tre settimane ho qui sul tavolino
l'altro suo carissimo dono, la Novella, che
m'ha fatto trascorrer parecchie ore con
Lei, esplorando i regni bui d'una vita, dalla
quale il lavoro di tre quarti di secolo si
affaticò a rimuover tutte le tenebre.
Non riesco a dirle la metà dei pensieri
rampollati dalla lettura, con quella moltipli-
cità d'impressioni, che, a volte, dà come il
senso d'esser sospesi sopra un precipizio
di fatalità caotica, e qua e là ci fa
riposare nel più sereno lume della
vita reale, giunta a conoscer sè stessa.
    Questa Sua Novella, sia pure con tutto
il pessimismo che vi predomina, è delle più
originali per l'ardimento d'aver portato,
vorrei dir quasi di peso una realtà di vita
agli apici dell'arte. Certo che, quando la
filosofia legge nella vita umana come in
"un libro piuttosto brutto che bello"
non si può chiederle di ricavarne le
dilettazioni fantastiche d'un'araba leggenda.
    Quello che importa si è di vedere se,
per una gran quantità d'individui, la vita
progreditissima d'oggi sia o non sia per
l'appunto "un libro piuttosto brutto che bello";


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quello che importa si è di vedere quali
insegnamenti una morale più alta di
quella filosofia può trarne; quale logica
imputazione delle cause determinanti di tutto lo
sfacelo d'una tal vita sa scorgere e quali rimedi
additarme. Se il narratore aggiunge per conto
suo al libro oscuro una pagina di chiarimento,
nessuno ha diritto a chiedergli di più: come nes-
suno s'è mai sognato di chiedere una visione
ottimistica del mondo, come mondo, né alla
Bibbia nè alla Divina Commedia. Ma
quello che non si vuole ammettere si è che
la vita possa esser tale in conseguenza delle
sue premesse atee. E, soprattutto, a molti
è savor di forte agrume che un poeta
dell'esperienza e della verità possa fare una
sì alta e bella affermazione dell'"efficacia
mansuefacente" della fede, e ne risvegli
in quanti animi non sono chiusi alle voci
dell'umana pietà il desiderio accorato, come
della sola virtù che può mitigare con la
rassegnazione e la speranza in una giustizia futura
oltre la vita, le deluse aspettazioni d'un progresso
che "porta l'insofferenza e il disordine universale".


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    Ma bisogna aver seguito co' proprii occhi la
evoluzione delle classi lavoratrici, contadini
e operai, per gustare tutta l'amarezza
che il cuore ha condensata nel racconto, come
la natura condensa in certe erbe i succhi amari,
salutiferi. Bisogna averla seguita quella povera
gente nelle diverse tappe della sua ascensione
– al rovescio – su per la scala sociale, che potreb-
be suggerire a una visione dantesca, una bolgia
nuova: la bolgia degli spostati. Così, com'Ella
li descrive, tali sono: avidi, egoisti, ambiziosi,
penetrati d'un certo spirito critico; e, nella loro
ignoranza, anelanti a gettarsi, anima e corpo,
tra gl'ingranaggi de
                            "l'innocente industrie
     Qui sait multiplier les douceurs de la vie"2.
Tali, per una febbre innata, che pare un
nuovo istinto di cui madre natura volle
provvedere gli uomini del secolo decimonono,
perchè sapessero sfruttare a benefizio della loro
cupidigia il magnifico prodotto dell'enciclopedia
del secolo decimottavo.
    Tutto il lavorio delle nuove dottrine in una
coscienza primitiva, come quella di Lapo, è
reso da Lei con quell'arte ch'è una sincerità
più profonda e più persuasiva, aggiunta
alla realtà umana. E la Novella


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diventa storia, quando apre come uno spiraglio
sul mondo più vasto; uno spiraglio da cui
si può intravedere quell'andare a fondo delle
costruzioni scientifiche modernissime, fino al-
l'estetica, fino alla politica, nel vortice
delle stesse false teorie, che travolgono l'onestà
del povero muratore – demolitore di se stesso.
    I pregi unici del novelliere, che dà sempre
un linguaggio così espressivo e proprio a tutte
le cose, individui e ambienti, vaghezze esteriori
e intime miserie, sono forse più raccolti
e armonicamente distribuiti nelle brevi linee
di questa Novella, che in altre Sue; e più
che in altre, forse, in questa la rapidità è pari
alla coesione. Se il dramma che vi si svolge
è tristo e senza ideali contrasti nè di figure
nè di vicende gioconde, la gentilezza e la
bellezza, che ne esula dall'umanità, vi
si coglie in disparte da quella, nei
paesaggi, nelle scene, nei dialoghi,
ne' colori e nella musica d'una lingua, la
cui schietta ricchezza è fatta apposta non per
infronzolare, ma per render più pungente
il senso delle cose discordi, o pietose o maligne.
Così, al mondo, vi è sole per tutte le stamberghe,
e fiori per tutti i funerali.


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    Caro, grande artefice di questo universo,
si rallegri, dunque, d'aver foggiato un mondo
del caos, ma per lanciarlo incontro alla
luce, della quale Ella sa le vie.
    Mi consente solo un'osservazione? Un
certo richiamo alla Pentecoste del Manzoni,
non Le pare che mal si presti a rendere
quel sapore d'ironia, ch'Ella sparge con
sì bella arguzia deducendolo dalle sue fonti
genuine? E accolga anche questa osservazione
a suggello della sincerità di tutte le altre.
    Nelle ultime righe ch'Ella mi scrisse
v'era l'accenno a una Sua indisposizione
e a cure moleste. Da chi sperimentò
e sperimenta l'una e le altre, si abbia,
carissimo amico, un augurio tanto più fervido
quanto più consapevole.
    E, prima di chiudere, anche una preghiera.
S'Ella avesse occasione di scrivere a
Giovanni Cena – il poeta ch'io apprez-
zo sopra tutti gli altri d'oggi – voglia
dirgli, La prego, che mi piacerebbe tanto
d'avere una sua cortese risposta.
Si tratta di miei nuovi versi, che gli
mandai quindici giorni fa per la


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"Nuova Antologia" la quale già altri
ne pubblicò di miei, quest'inverno scorso.
Hanno una ragione d'attualità speciale,
perchè ispirati all'amore della mia terra
natale in questa vigilia eroica della
sua liberazione; e sono vivamente aspettati
in particolar modo dai miei compatriotti.
Mi dispiacerebbe se non potessero trovar
luogo nella "Nuova Antologia", perchè
sarei costretta a darli a chi me li
chiede, qui a Milano, per una rivista,
che di letterario non ha se non la curiosità.
Ho visto altre volte dei versi3 pubblicati
anche dal "Giornale d'Italia". Se la
"Nuova Antologia" non li pubblicasse,
quelli che le mandai, vorrebbe Ella essermi
tanto gentile da presentarli al "Giornale
d'Italia"? – E se Le dò troppa noia,
non mi risponda, chè io so come mi
avrebbe accontentata volentieri, potendolo.
    Dai miei cari, tutti i più amichevoli
ricordi. In particolare da Marco, che lesse
e pur tanto ammirò il Suo "Discorso" e la
"Novella", un abbraccio fraterno.
E tutto quello che si può pensare e desiderare
affettuosamente di bene dall'amica Sua

                    affezionatissima
                             Luisa Anzoletti



1. G. A. Bazzi, artista, detto Il Sodoma.
2. "Non, célébrons plutôt industrie / Qui sait multiplier les douceurs del al vie". J. J. Rousseau, Epifre à M. Bordes (1741).
3. Canti dell'ora, 10, agosto 1915.

 
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