Luisa Anzoletti a Mario Pratesi

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                        Milano, il 26 luglio 1915

Amico e fratello mio,

    L'impressione dominante, che mi si ferma
dentro, dopo che da tre dì leggo e rileggo
le Sue pagine incomparabili sui Canti
dell'ora1, è quella d'una comunione
d'anime giunte in possesso della vita,
che sarà perfetta, di là dal mondo delle apparenze
vane, per la conseguita unità dello spirito.
    Ed è come s'io continuassi, nelle Sue
pagine, il cammino cominciato nell'ora
dei quei canti, sentendo sempre più distinte
le voci delle creature tormentate dal
"mistero che non si apre" e la dolcezza del
confondermi in esse sempre più profonda.
Perché, forse, ciò che forma l'intima es-
senza della poesia, è proprio questo: il
trapasso dalla nostra egoistica personalità
nel cuore delle creature, cominciando in
tal modo quello spogliamento di noi stessi, che
si compie nella morte. Ma cominciando
insieme l'altra vita: quel modo di esser
tutti in uno e uno in tutti, che è
nell'arte analogo all'unione dell'umano
e del divino, rivelata dall'Autore del
Vangelo. E a me ispira una grande fiducia
che non sarà un annientamento il nostro,


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dopo la morte, poiché possiamo averne un saggio
che invece d'atterrirci riesce così ineffabilmente
dolce: sentire che il nostro io si perde nel-
l'universo, e pur mantenerne la coscienza:
come se potesse eternarsi l'attimo della gioia
quando la vede raggiare in altri chi la dà
con un qualche suo dono più caro e prezioso.
    Nessuno può immaginare la difficoltà che
Ella ha vinta riuscendo a dire quello che pareva
indicibile. L'addentrarsi nella ricerca del pensiero
e delle ragioni poetiche più occulte e misteriose,
per chi non abbia la Sua vista, esercitata
all'invisibile, può condurre a brancolar
nell'astratto e nelle sue nebbie, solo illusi
d'afferrare con mano di carne e d'ossa le
larve incorporee, camminando
    Sopra lor vanità che par persona2.
All'opposto, per quella facoltà tutta Sua, di
signoreggiare la natura umana fino in fondo,
le divinazioni più misteriose par che acquistino
la consistenza e la lucidità della cosa
reale, concreta. Ed io sola, forse, posso
conoscere tutto il miracolo che Ella compì,
penetrando la materia d'arte per entrare,
come in un Suo dominio, nel mistero di
un'anima. Nulla, qui dentro, che sfugga
a' Suoi occhi o non sia colpito nell'intimo
cuore della verità. La sintesi e l'analisi
si rispondono armonicamente in un disegno


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che è prospetto dell'intera concezione poetica,
e ch'Ella delinea così netto e preciso, distin-
guendo i caratteri e la vocazione diversa
dei poeti "iudicatori dell'ora storica" e,
dell'"ora antica", e l'indole dell'arte
contemporanea e la sua fisonomia, che
vorrebbe atteggiarsi ad esprimere trascendenze
sublimi, e non fa, spesso, che presentar le as-
simetrie della degenerazione e della demenza.
Oh no, ch'Ella non isbaglia – Marco vuole glielo
dica da parte sua – anzi ha mille ragioni
di giudicare che "molta fallacia vi sia nell'arte
che corre oggi alla fiera"! E aggiunge, e
potrebbe illustrarglielo con gli autori e le opere,
che, per esempio, nella musica tedesca d'oggi si ha
davvero un esponente della barbarie nazionale,
un riscontro fedele della megalomania tru-
culenta che caratterizza, come le armi, così la
Kultur teutonica, e di cui Ella parla con l'impeto
di quella veemenza sfegnosa che è Suo. L'oscuro
sterminio è di fatto la guerra dei Tedeschi, qual
io la sentii vivendo l'autunno scorso in mezzo
alle misere popolazioni del mio Trentino, attana-
gliate dalla forza sanguinaria che imperversava
– e imperversa – sovr'esse.
    Ella riconobbe tutte le sorgenti, tutti i
motivi del mio canto. Quella cara bambina morta,
ch'Ella sentì piangere, com'io la sentii, era
l'unica figlioletta dei nostri contadini, a Villa Rosa.
E la Primavera è veramente quella del Botticelli,


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ma quanto ne rende Ella poi intensa l'espressione,
dicendola "più misteriosa della Gioconda"! E come
intendo la voce fraterna in quel sentimento – che
è pure Suo – del dolore e della morte: sentimento
"come d'una continua presenza, celata anche nelle
cose gioconde". Ma dove Lei solo giunse, né altri
lo potrebbe,– per una misteriosa affinità di spirito -
a cogliere e determinare l'essenza occulta della
poesia, è in "Anime lontane": un canto che
avevo, per dir così, riservato a me stessa, temendo non
della critica, perchè lì tutti possono aver ragione,
ma delle interpretazioni che altri ne avesse recate,
certa di non poterne ricavare alcuna sodisfazione.
    E quanto ancora a dirle! Ma non arriverò mai
a dir tutto. Per oggi, solo questo: Ella fa una
dimanda, alla quale io devo rispondere: se in
quei miei versi, ch'Ella nota con tanto affetto, sia
"affermazione di fede o di dubbio"? Io dico solo
che nel tempio della nostra anima vi sono due
porte: per la luce e per le tenebre. Dipende dalla
nostra volontà che l'una sia aperta e l'altra
chiusa: ma ciò non avviene, talvolta, senza
combattimenti e tormenti asprissimi. E a me
pare umano il confessarli: perchè sarà sempre
più degna dell'uomo la vita interiore simile
ad un mare tempestoso, che non la morte
dell'anima ridotta ad un acqua stagnante.
Amico mio e fratello mio, con la luce del Suo
pensiero e con la bellezza della Sua parola Ella
m'ha dato quell'aiuto che ha qualcosa di sovrumano,
e che solo un alto intelletto e un cuore grande
poteva darmi: l'aiuto a comprendere me stessa.
Io stringo la Sua mano, e con profonda commozione
Le dico: grazie! La vita m'insegnerà le vie del
contraccambio degno.
Da Papà e Mamma pieni d'ammirazione, da Marco che fa sua la
mia gioia, tutti i più cari ricordi. Voti affettuosi di pace e di ristoro
                                           dall'amica Sua Luisa Anzoletti


[in margine, senso verticale]

Mando oggi le copie da consegnarsi, secondo Ella m'indica, alle Sue consapute persone.



1. Pratesi, M. "Luisa Anzoletti. I Canti dell'ora" Rassegna Nazionale" (1 ago. 1915).
2. Dante. Inferno. IV.
3. Vedi Mario Pratesi a Luisa Anzoletti 1915-08-01 per la risposta.

 
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