Giacomo Barzellotti a Mario Pratesi

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[mano ignota: 33]


Carissimo Mario,

    Io mi ricordavo spesso di te e
desideravo da un pezzo di scriverti per domandarti le tue
nuove e il tuo stato morale, ma non lo feci dalla
mia ultima lettera in poi perché non sapevo se eri
sempre a Pisa, o se, come mi immaginavo eri tornato
a Siena. Ora sento dalla tua lettera che sei tornato
in famiglia. Io approvo la tua risoluzione e credo
che, poiché tu hai saputo fare quello che le
tue presenti condizioni ti suggerivano, tu sia degno
di lode. Quanto al dolore che questo passo ti ha
procacciato lo intendo benissimo e me ne dispiace
immensamente, perché io che a Pisa e a Firenze
nei nostri colloqui ti ho sempre confortato a
vincere colla fortezza dell'animo e cogli studj
perseveranti l'avversità delle fortune, capisco bene
per altro che quando ci troviamo in una condizio-
ne non grata, e penosa, l'intelletto e la volontà per-
dono in gran parte del loro naturale vigore. Non
lo perdono però del tutto, e perseverando si vince
e spesso d'onde meno ce l'aspettavamo ci viene
pace e conforto; e chi sa che tu forse col tempo
non trovi costà quel coraggio di tollerare e di
spendere laboriosamente la vita, che fin quì
non hai trovato pienamente altrove. Questo


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per altro ti ripeto e non facendolo crederei di mancare
al dovere di amico, che a te unica e certa via
di salvezza possono essere li studj, possono essere
guida a recuperare la tranquillità dello spirito,
momentaneamente perduta, a procacciarti
sapere, fama e gloria. Né ti paja che io ti
voglia adulare o consolare con vane parole. Io non
parlerei così a chi avesse perduto la pace per
delitti commessi, o a chi fosse incapace di uscire
dalla schiera dei volgari per impotenza d'in-
gegno. Tu hai pure la coscienza, e valente
l'ingegno; la voce dell'una ti possa dar lena
per passare incontaminato e sicuro in mezzo
ai vizi e alle miserie dei tempi, le forze dell'altro
ti ajuteranno a levarti dal fango della vita
alle eterne verità delle scienze e alle incorrotte
bellezze dell'arte. Forse un giorno tu potrai dirmi
che io non ti ho inutilmente incoraggiato.
Ti mancano forse i primi fondamenti? Io
non credo. Da quando lasciasti quel malaugu-
rato impiego, trovasti nella infelicità che
ti opprimeva tante forze (forse non quanta
avresti potuto) per condurre alcuni studj, e
ti esercitasti nell'italiano e nel latino;


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quest'ultimo ti aprì la via di una nuova lettera-
tura, di una nuova storia, di un nuovo ordine
di studj. Cerca in te stesso e non ti troverai
tanto povero; sovente ci avviene che, come le
persone che ci stanno continuamente d'intorno
non si avvedono dei cangiamenti avvenuti in
noi, così noi medesimi presenti di continuo allo
svolgimento della nostra vita intellettuale e morale
non ne avvertiamo i progressi, ma viene poi
un momento in cui dovendo far prova di
noi, quei progressi ci si rivelano a un tratto,
e inconsapevolmente. Allora diciamo: ho pro-
fittato: allora non pajono più inutili quei
sudori; quelle veglie, quelle passeggiate perdute,
quei divertimenti lasciati; e la scienza par
una cosa divina perché pagata sì cara. Io con-
fido che tu un giorno potrai dirti così: studia
indefessamente; prefiggiti un cammino, e a
quello indirizzati senza divagarti in altri
studj, senza allargarti in troppe vie, senza
mai cangiarlo; e io ti predico che darai a te stesso
una vita felice, e onorata, e all'Italia un cittadino
operosamente benefico. e tu stesso vedi quanto questa
povera Italia abbia bisogno di buoni figli: lo vedi


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di queste ultime pagine dolorose della nostra
istoria che ci vanno passando innanzi agli
occhi, e ci mostrano che tutto avevamo: confi-
denza in noi stessi, anche troppa, valore immenso
e più anche che valore temerità, avevamo forze
di terra e di mare, un paese concorde, un esercito eroico,
una schiera generosa di volontarj; ma una cosa
sola ci mancava: gli studj. Non è che manchino
gl'ingegni, perché questo suolo italiano che è
la patria del genio, abbia perduto la sua fecondi-
tà tradizionale; ma ci sono mancati perché non
gli abbiamo saputi creare. Speriamo almeno nella
generazione avvenire; e giacché ho toccato la politica
fo punto quì per non riempire una dieci-
na di pagine collo spiegarti innanzi agli
occhi i sentimenti dolorosi che da circa
un mese mi esacerbarono l'animo. In quanto
me lo permettono queste sventure civili, mi
vedi occupato ne' miei studj; ed è pochi
giorni che ho cominciato la tesi di Filosofie
Ho già sfogliato e appuntato gran parte delle
opere filosofiche di Cicerone che ne formeranno
il soggetto. Il primo di 7mbre andrò a
Piancastagnaio. Addio: scrivimi: ti saluta il
Cosci, credimi tuo aff. amico G. Barzellotti.


[in margine, senso verticale]

Non sapevo quando il tuo articolo1 usciva: non potei tener dietro alla Nazione. Se ne hai
una copia di più spediscimela. - Mi scrisse il Pellegrini domandandomi di te.



1. Forse si riferisce al commento sul poema Arrigo di G. C. Abba (1866).

 
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