Giacomo Barzellotti a Mario Pratesi

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Caro Mario,

                      Piancastagnaio (Siena)
                         3 settembre 1896.

    Eccomi a darti le mie no-
tizie, che ti ho ritardato di molto, poi-
ché volevo scriverti nel mese scorso. Ma
sono stato, dopo il mio ritorno da Napoli,
verso la fine di Luglio, molto tentato
di venirti a fare una visita. Poi ho
visto che non potevo venire per causa
di molte cose, diversissime e tutte
importanti che mi tenevano in Toscana
e non lontano da Roma, ove forse
dovrò tornare tra poco. Ebbi, sulla
fine di Luglio, una gentile e tentan-
te cartolina dal nostro Rovetta, che
anche a nome della carissima
Contessa Gina, mi invitava a venire
costà alla Vena d'Oro. Se avessi


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potuto, sarei proprio venuto volentieri: tanto
mi tirava il nostro buon quartetto
amichevole, e le nostre conversazioni
della sera innanzi alla mensa, presso
la scala veneta di una vecchia e poetica
casa del secolo XVII, presenti il tuo
gatto e le figure austere inquadrate
da te nelle vecchie cornici sulle
pareti. Ma come si fa? Fino alla metà
e più del mese scorso avevo da fare
da provvedere a cose che non potevo
tralasciare, ed affari di famiglia. Ora,
è quasi già finito il tempo di
riposo, che mi volevo dare, e, tra
alcune faccende della mia am-
ministrazione di qua debbo rimetter-
mi già a preparare il lavoro per


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la fine dell'anno e per l'inverno;
tanto più che non ho potuto esimermi
dall'impegno di pronunziare nel Novem-
bre prossimo, al Collegio romano, la
Commemorazione di J. Simon, a cui
il Comitato Franco-italiano di concilia-
zione vuol dare molta solennità. Io
ho accettato non per altro se non
perché mi attirava la nobile figura
del filosofo francese1.
    I miei bambini sono stati fino
a jeri ai bagni; ora sono a Poma-
rance. Qua ci sono i miei due
nipoti e la Nena, e non passa quasi
giorno che non ti si rammenti, e
non si rimpianga la tua assenza.
Peccato che tu non venga più in Tosca-


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na in estate! Perché non dai una scappata
qua in ottobre o verso la fine di questo
mese? Ci saremo sempre.
    Di' tante cose al
simpaticissimo Rovetta, a cui sarò sem-
pre tanto grato delle prove di schietta
amicizia e d'affetto datemi, e de' cui
successi mi rallegro di cuore, ogni-
volta (ed è spesso) che li leggo nei
giornali. Digli che spero di applau-
dir presto il suo Principio di secolo2.
E mille e mille cose alla carissima
Donna Gina, a cui vorrei trovarmi più
spesso vicino per goderne la conversa-
zione geniale. Dille che non ho perso
la speranza di vederla l'inverno futuro
a Napoli o a Roma. Vorrei trovarle io
un quartiere di suo genio. Tante cose
a te, caro amico, anche da parte
       de' miei. Spero che


[in margine, senso verticale]

sarai ora più tranquillo. A Roma non potei vedere nessuno.
                                                                    Tante cose tuo amico
                                                                                   Giacomo B.


[in margine, senso verticale, p. 3]

P.S. Non so se ti mandai i miei due articoli intitolati: Se oggi


[in margine, senso verticale, p. 2]

ci sia in Italia una letteratura italiana.



1. Pubblicato poi in: Giulio Simon: discorso. Discorso di G. Barzellotti; scritti di M. Tabarrini et al., con prefazione di G. Biancheri (Roma: Soc. ed. Dante Alighieri, 1898).
2. Di G. Rovetta che andava in scena a ott. e nov. del 1896.

 
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