Mario Pratesi a Giacomo Barzellotti

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    Milano, 26 7bre '90

Caro Giacomo,

    La tua carissima restò qua gia-
cente sino a ieri l'altro che la ritirai tor-
nato da Venezia, dove mi son trattenuto
nove giorni soli, stancandomi molto a
girare, a veder monumenti e pitture, ter-
minando tutti i quattrini, e ritornando
qua con un gran male addosso. È ora
quasi una settimana che non posso vincere
una forte dissenteria, accompagnata dalle
più strane bizzarrie del mio stomaco
guasto che ora ha appetiti voraci, ora
nausee, ora bruciori acerbissimi. S'unisce
a questo una tosse violenta che mi ha come
reciso le corde vocali per cui la voce è
scomparsa, è andata in campagna come


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Marianna: e chi sa quando ritornerà? Vedi
se sto benino qui solo nelle mie stanzette
dove non ho altra assistenza se non quella
delle mie fotografie appese al muro. E il
primo d'ottobre ricominciamo il muli-
no! – Mi duole che tu pure sia
stato poco bene, ma da ciò che mi dici
non fu che un piccolo incomdo che ora
è cessato. Scrivimi perchè desidero molto
le tue lettere e le tue nuove. Le Signore
Karo sono ora a Viareggio. Avrai letto
nella Nazione del 17 il necrologio
del povero Homberger scritto del mar-
chese Matteo Ricci. La signora Regi-
na
ha voluto tenere presso di sè il
romanzo francese che tu prestasti


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all'Homberger, come memoria dell'ultimo
libro che suo marito ebbe tra mano
e che neppure finì. M'ha incaricato
perciò, volendomene pagare l'importo,
di spedirtene un'altra copia da Milano,
e domani te la farò spedire dal Galli,
a cui la pagherò. Ho passato quest'an-
no tutte vacanze assai brutte. Rimasto
solo ad Airolo, rarissimi furono i
giorni di sole, ma avemmo settimane
continue di pioggia, e neve come d'in-
verno. Ora qua è caldura sciroccale
come in estate. Quel fornaio che ci
ospitò in quelle tue cameruccie mi s'è
scoperto un vero furfante. Andato via
io il 3 di settembre, e credendo di dover
pagare solo i giorni che v'ero stato, egli


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fondandosi su quello che io avevo detto, che ero
di rimanerci sino al 15 di settembre, sino
a quel termine ha preteso che io lo pagassi,
aspettando a palesarmi le sue pretese quando
mancava solo un quarto d'ora alla partenza.
Gli ho dato, come si meritava, del mascalzone,
e quasi siamo venuti alle mani, ma premendomi
di partire, ho salassato con altri quattordici
franchi, la sua cupidigia. A Chiasso poi
me ne capita un'altra più bella. Avendo
spedito il baule da Lugano, nè sapendo che
a Chiasso bisognava presentarsi alla visita do-
ganale il baule mi resta a Chiasso, sicché per
riaverlo subito e poter partire per Venezia,
dovei, appena tornato a Milano, ripartire,
con un biglietto d'andata e ritorno, per
Chiasso, bestemmiando come puoi credere
perché son cose queste, sono arbitrii che
non seguono che in Italia! A Venezia poi
sono andato sempre malissimo di salute: le
zanzare e un pessimo letto mi hanno fatto
riposare poco e male. Insomma non ho
fatto che soffrire, e ora quantunque stia male,
benedico queste mie stanzette. Addio, caro Giacomo,


[in margine, a sinistra]

scrivimi presto: saluta tutti e credimi sempre il tuo amico Mario.

P.S. Mi aggrava il pensiero delle lire cento: ora sono al verde, e domani dal mio stipendio


[in margine, senso verticale, p. 3]

di 220 lire devo toglierne 160, per pagare un semestre di pigione; ma faro' di tutto per
sodisfare, prima di luglio, il mio debito. Scusami!

 
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