Caterina Cecchini a Giorgio Bandini

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                                         Firenze, 30 giugno 1966

Carissimo Giorgio
    Da vario tempo avevo
preparato per te le lettere
e gli appunti che qui unisco,
ma il tempo passa, anche se
l'orizzonte tarda a schiarire.
    Come stanno i tuoi
cari di Milano? Come stai
tu?- A tutti affettuosi
saluti
                          Caterina


Non guardare a come ho
scritto. Anche i miei occhi non
funzionano più bene, Ma----
ho compiuto nello scorso gen-
naio 89 anni!


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No 3 lettere e 1 cartolina
Queste lettere vennero
date in esame al Prof.
Bonetti, il quale voleva
pubblicare uno studio
su M. Pratesi. Lo
presentò il Gen. Trallori
e da lui mi furono
restituite; non so se
vennero pubblicate.
Poi vennero consegnate
alla Si.gn Bianchini
(Via XX Sett. 96) Tel. 43.553
ma non ricordo che uso
ne venne fatto.


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[lettera di Mario Pratesi copiata da Caterina Cecchini]

21 luglio 1911

Eccellenza
Mi permetta di significarle
il mio sincero dolore per la morte
dell'amatissima Principessa, la cui
semplice bontà pareva una conseguenza
naturale de' suoi alti natali
Con ossequio
Suo Devotissimo
Fir[mato]: M. Pratesi


Il biglietto era indirizzato al Principe Don
Tommaso di Neri Corsini per la morte della moglie
Donna Anna Barberini Colonna.
Il Principe era figlio di Don Neri Corsini1
Marchese di Lajatico, nobile figura, appressato da
Bettino Ricasoli, che lo mandò in Inghilterra in
esplorazione e a vantaggio della Causa Italiana.
Colto da grave malattia morì a Londra. La salma
venne trasportata in Italia e sepolta in Santa Croce
per espressa volontà del Ricasoli.


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6 novembre 1910
È morto a Brescia Giuseppe Cesare
                                         Abba-
Nella" Nazione" del 7 nov. è riportata la
seguente lettera di Mario Pratesi.

Signor Direttore della "Nazione"-Firenze-
    Un telegramma della famiglia mi
annunzia da Brescia la morte improvvisa di Giuseppe
Cesare Abba. L'acerba notizia è lutto di
tutta Italia. Non dico del mio che gli ero
amico da quarantasei anni: amico di
cuore e di pensiero. Con tal dolore riesco-
no difficili e sembrano tutte superflue
le parole. Dirò solo che, con la sua grande
bontà di cuore, nessuno conobbi più
eroico, più alto di lui; alto come il pensiero
religioso del Mazzini, eroico come l'anima
più pura generata tra noi, dalla grande
emanazione di Garibaldi. Nei tempi
eroici Garibaldi fu assomigliato al
Nazareno. Ebbene, Giuseppe Cesare Abba
fu il suo San Giovanni. Con lui spari-
sce il riflesso più vivo di molte grandi
anime. Vive nella memoria dei molti
                                         Ved. retro


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giovani che educò ne' suoi venticinque
anni d'insegnamento, vive nelle pagine
immortali delle sue
Noterelle di uno
dei Mille
, dove la grande epopea siciliana
si rispecchia in lui come nel fulgido
scudo di un poeta e di un paladino.
Ed egli fu tale...Addio, amico della
mia gioventù! Soltanto un mese fa
tu eri prospero e baldo co' tuoi settanta-
due anni, quando mi venisti
a trovare in Firenze. E partendo ci
dessimo il bacio dell'addio. Io non
sapevo che dovesse essere l'ultimo. Ora
tu vedi la luce e non temi più le con-
taminazioni di questa povera vita mortale.
                                    Fir[mato]: Mario Pratesi


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           15 novembre 1910
Ved. "Giornale d'Italia"
"La lettera bellissima di G.C.Abba, che pub-
"blichiamo è la risposta indirizzata a una
"gentile e colta signora fiorentina che aveva
"scritto all'autore illustre con la data del
"27 aprile 1909. E appunto quella data ricorda
"all'Abba il giorno memorabile della rivo-
"luzione Toscana e nell'impeto dei ricordi
"il soldato della spedizione dei Mille torna
"a rivivere l'indimenticabile passato.
    "Quel Mario a cui si accenna è Mario
"Pratesi, squisito e immaginoso scrittore
"di pagine veramente stupende.
    "Ecco la lettera dell'Abba:


                     Brescia, 6 maggio 1909
           Gentile Signora,
    Io sì che alla Sua graziosa lettera
avrei dovuto rispondere subito con
l'impeto di riconoscenza che mi dava
l'animo caldo caldo della lettura!
Ma ecco la cura pedestre del mestiere
che assale e svia; poi passa l'ora, il
giorno, la settimana e si tace e si fa


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forse pensare con rammarico d'avere
scritto, chi ha scritto di cuore e si patisce
di rimorso sordo, ma insistente. Così
mi scuso del ritardo.
    Ella mi scriveva nel gran giorno
che pei fiorentini segna uno dei più
grandi fatti di civiltà. Tra la cacciata
del Duca d'Atene e il commiato di Leopol-
do ci fu tanta differenza di modi quanta
ne vollero i tempi, ma già i fiorentini
avevano mostrato sin dal medio evo
la gentilezza con cui i loro pronipoti
avrebbero risolto il dramma futuro. Io
provai un senso di grande compiaci-
mento la prima volta che lessi, mi pare
nel Machiavelli, che i delegati del
comune accompagnarono il Duca fino
ai confini del territorio da dove cortesemen-
te lo accomiatarono. La cittadinanza
del 1859 si ricordò più di questo episo-
dio che della tela in cui l'Ussi2 aveva
fatto vivere i loro avi in collera contro
quello sciagurato di Gualtiero.
    Sa quale pensiero mi suscitò la
data della sua lettera? Mi rividi in una
caserma di Pinerolo, dove la sera del


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27 aprile 1859 si seppe ciò che era avvenu-
to a Firenze. Vedere i Toscani! C'erano
nel mio squadrone un Valcetri di Siena,
un Bellotti di Arezzo, un Cresci di Livorno,
un Nardini e un Pierni pur di Livorno,
care figure che mi si affollarono subito
nella memoria quali erano allora, gio-
vani, vibranti, belle. Allora udimmo per
la prima volta il nome di "Canapone"
da quei Toscani che ci incantavano con
la loro parlata e ci parevano per essa
tutti dottori. Che gente colta! dicevano
gli ufficiali piemontesi; e venivano ad
ascoltarli come si va a musica. Proprio
cosi sebbene oggigiorno possa parere in-
credibile.
    Se io le avessi risposto subito mi
sarebbe venuta una lirica, tanta fu
l'emozione mia per quei ricordi dalla
gran data e dalla sua parola, Signora,
cui sono grato della benevolenza e del
forte pensiero. Siamo così poco avvezzi
a udir voce di donna che abbia sentimen-
to di patria!
    Ella mi dice delle mie "Noterelle"


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cose care che mi compensano di tanti
piccoli guai quotidiani della vita e anche
dei grossi, venienti per fortuna solo di
quando in quando. No, no! ha fatto bene
a dirmele le sue buone parole, io ne ho biso-
gno. Il nostro Mario sa che n'ho bisogno!
    Che amico! Ne conobbi io degli uo-
mini e di tempi migliori, ma egli solo
è rimasto in me come io sento d'esser
rimasto in Lui. Quarantacinque anni
passarono e non sfiorarono neppur le
cime delle anime nostre! Viviamo come
quando ci trovammo e ci conoscemmo;
poco felici allora, poco adesso (sebbene se
ci si guardi dietro si veda una folla in-
terminabile) ma sempre fedeli a noi stessi.
Se un mago volesse ringiovanirci avrebbe
da fare un po' a ritingerci e a spianarci le
rughe, ma per l'anima non avrebbe da
farci nulla. Almeno pare a me di sentir-
mela dentro giovane come allora incurante
delle cose che sono cura assidua dei volghi
o di bottega o di salotto e ancor più delle
rovine che si sono venute accumulando
intorno.
    A Mario non ho più scritto da quando
egli mi domandò un ritratto per Lei. Chi sa


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che broncio! Ma lo contentai subito, pur
non osando mettere parola sulla foto-
grafia, salvo la mia firma. Ella mi avrà
scusato. E giacchè la vedo attraverso
le sue parole così buona com'è di cuore
ma per davvero, la prego dire all'amico
nostro che per un po' di giorni mi tolleri
ancora. Sono a una delle operazioni più
noiose della vita: cambio di casa.
    Nel mese corrente credo di dover
andare a Roma per una adunanza
del Consiglio centrale della "Dante".
Se andrò farò una fermata a Firenze e
mi permettero di venire con Mario a
visitarla.
    Fin d'ora teniamoci come anti-
che conoscenze, perche tali siamo avendo
Ella l'idea stessa di Mario che n'ho io.
Dice benissimo; animo di "Gran Signore
e forte e fine artista". Che importa se
l'Italia presente non lo riconosce? Non
c'è mica da andar molto superbi e
neppur soddisfatti delle celebrità che dà
un popolo come il nostro d'oggi!... Mi
creda, mia nobile Signora
                          Devotissimo: F[irmato]: Abba


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Famiglia Bandini
Gaetano 1772-1821
Caterina -1837
Loro figli
1. Adelaide (maritata Fratini)
2. Clementina
3. Policarpo 1801-1874
4. Eidelberga
5. Ifigenia
6. Adria (maritata al Dr. Zanobi Mencarelli)
7. Eraclide-Fredesvinda-
                     Eidelburga (sposò un
           Valeri e la sua figlia Sofia
           sposo Gaetano Trallori, morti
           presto, i cui figli Jader, Vittorio,
           Gaetano vennero affidati alla
           nonna Eraclide.
8. Jader
9. Amelberga-Eidelburga-Maria
10. Temistocle (1801-1889)
11. Edda- maritata a Igino Pratesi-
                Loro figli: Dante e Mario


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                Figli di Jader Bandini
1. Adria- maritata al Dott. Zanobi
                          Mencarelli
2.Balbina
3.Candida
4.Diomira
5.Egisto
6.Foscolo
7.Giuditta - maritata al Dott. Mazzuoli
8.Icaro
Giorgio Bandini- Era forse cugino di
                Temistocle e dei fratelli.
Senza essere una celebrità, era un bravo
pittore. Che io sappia, lavorò a Brolio, nella
cappella di famiglia; lavorò per la parte
ornamentale nella Sala, che Siena destinò
al ricordo di Vittorio Emanuele II e dove si
conservava anche la tunica che V. E. aveva
indossato nella batt[aglia]. di S. Martino e che


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aveva donato, si diceva, al pittore Mussini.
Giorgio Bandini era un'ottima persona.
Venne qualche volta in casa della nonna
Erminia Bandini per darmi lezione di
pittura; ritirò con sè la sorella, che aveva fatto
un infelice matrimonio e la nipote, facendo-
le padrone della sua casa. Abitava in una
modesta casa in Via di Campansi, presso il
ricovero di Mendicità. La casa era sua e
del fratello Eugenio, impiegato alle Ferrovie
che aveva in moglie Emma Tarchi, figlia
di un magistrato. Eugenio morì presto
e la vedova, dopo diversi anni, passo a secon-
de nozze col Magg. Foscolo Bandini.
Questi aveva avuto un figlio da una
signora (si diceva) dell'aristocrazia fioren-
tina. Prendendo moglie, ritirò con sè il
figlio, anche lui Foscolo, che noi (i fratelli
Bandini, Laud[omia] ed io chiamavamo
Foscolino. La villa della Sig. n. Emma
era vicina all'Abbadia, coi parenti Bandini.
Foscolo era molto gentile e simpatizza-


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va con noi giovani. Ogni tanto
c'invitava a colazione e ci faceva sem-
pre qualche piccolo dono. La signora
Emma non aveva volontà che la sua
e voleva molto bene a Foscolino. Lo
considerava proprio come un figliuolo
ed avrebbe lasciato a lui tutto il suo
(la sig.a Emma era ben fornita), se
fosse vissuto. Già Capitano, morì
durante la guerra 1915-'18 a
Monte dei Busi il 25 luglio 1915.
Mio cugino Amedeo morì il 16 sett. 1915.
Il padre, Foscolo Bandini, Tenente
Colonnello, morì nella villa della
moglie, a S. Dalmazio, nel 1916.
    Foscolo e Amedeo avevano il
grado di Capitano; Amedeo era
prossimo ad avere la promozione
a Maggiore.



1. Nato 1805, morto 1859.
2. Stefano Ussi (1822-1901) "La cacciata del Duca d'Atene" (1858-59) nella Galleria d'arte moderna di palazzo Pitti (Firenze).

 
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