Mio carissimo
Mario,
Firenze,
13 8bre 90.
È vero che io non ti ho
scritto
da qualche tempo; com'è altresì
vero che avrei voluto scriverti
se avessi saputo dove indirizzare
la lettera. – Ho avuto stamani
la tua cartolina, e mentre mi
accingevo a rispondere, eccoti an-
che la lettera. – Non potendo
assolutamente per oggi cercare il
Falorsi,
ho pensato di mandargli
ben chiusa e per persona sicuris-
sima la lettera diretta a lui
insieme col bollettino: sta pur
certo che prima di coricarsi stasera
la leggerà. Io non potrò andare
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a trovarlo che domani l'altro o giovedì
al più lungo. Povero nostro Guido!
non sono gran giorni che lo vidi
perchè ora ci vediamo più frequente-
mente; ed è sempre, com'è naturale,
addoloratissimo: sarà anche più ogni
giorno che passa qui almeno ad un
certo tempo: lo so per prova, e gliel'ho
detto: che bisogna sì rassegni a soffrir
molto. Ma io spero che vincerà, come
ho vinto io, almeno fino ad ora. Anche
a soffrire ci s'abitua come ad ogni altra
cosa; prima o poi ci si rassegna a
pensare che la nostra vita finchè dura
dev'essere in qual tal modo e che
nulla può mutare; e si vive.
Di quello che mi dici sul
conto
tuo1, è inutile, credo, che io ti rinnovi
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le mie proteste. In quel tal punto,
primo punto. Sull'altro, è vero che
io non ho mai detto al F[alorsi] che tutto
era finito: gli ho solamente detto,
quando me n'ha domandato, che tu
non me ne parlavi: nè scrivevi più,
il che era anche in gran parte vero,
e cosi seguiterò a dire. Non
capisco in verità come sia proprio in-
disputabile ch'io abbia a dire espli-
citamente questa bugia; ma se proprio
vuoi ch'io la dica la dirò.
Mi dispiacque, non puoi credere
quanto, la morte dell'H[omberger]:
sapevo
quanto tu gli eri affezionato e che
colpo dovra essere stato per te tro-
varti a vederlo mancare. Lo seppi
dalla Nazione, dove ne scrisse un
lungo articolo il marchese Ricci;
e se
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[senso orizzontale]
come ti ho detto, avessi saputo dove scriverti
non avrei indugiato a farlo. Era sempre giova-
ne, e mi pareva tanto sano e robusto! Non
avrei mai immaginato una cosa simile.
Tu lavori, anzi devi lavorare,
caro
amico mio, anche
nelle vacanze e proprio fino all'ultim'ora,
e nonostante queste nuove traversie, e
i nuovi fastidi che sento hai trovato
in casa! Io ne sono addolorato: so anch'io
che cosa vuol dire non dormire la notte
e dover poi mettere in tortura il cervello il gior-
no; e so che urto nervoso invincibile
può dare per es. il canterellare d'una donna
o lo strillare d'un bambino quando si la-
vora. Insomma in questo p. mondaccio
bisogna tribolar sempre! – Farò i tuoi sa-
luti alle mie figliuole, che stanno bene, e
son buone e lavoricchiano. L'Agnese
p.e.
ha preso or ora il diploma per l'insegna-
mento elementare inferiore, e quest'altr'anno
[senso verticale]
se l'ho vuole, piglierà il superiore. Sono state assai
contente per quasi due
mesi all'Impruneta; e ne hanno risentito gran vantaggio. Anch'io un
poco n'ho
risentito. – A proposito, all'Impruneta venne a trovarmi il
Buccelli e cercò con
il suo solito intense affetto di te e fu dispiacentissimo di non
poterti
stringer la mano. Te la stringo ora io forte forte e ti
lascio
per oggi. Il tuo S.
PS. Ma come mai non ti ricordi del Montoliveto?
fuori la P. a S. Frediano? O non ci andammo
insieme l'anno scorso, anzi forse ai primi
di questo?
[in margine, senso verticale, p.1]
Dirigo al solita la lettera all'Istituto, perchè non so, o
non mi ricordo,
l'indirizzo di casa. Mandamelo, quando mi
riscrivi.
1. Si riferisce al rapporto con Clotilde Coronaro.