Mario Pratesi a Jessie Laussot Hillebrand

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                         Milano, 4 Domenica 9bre '83.

Cara Signora Jessie,

    Da tutto il tenore dell'ultima sua
m'accorgo quanto Ella siasi allontanata da me:
e siccome negli affetti io non conosco termini
medici, ma rallentare o raffreddare un'amicizia
equivale per me come a perderla, non posso
dirle quanto m'addolori questo veder mancare
un affetto antico che io credevo ben saldo e ra-
dicato in una stima non effimera. Nelle
amicizie serie non vi devono essere nè tolle-
ranze, nè riguardi, nè compassioni mendaci.
La verità schietta sopra a ogni cosa. Non
mi stimate più? Vi riesco inutile e grave
e importuno? ebbene, allora sbarazzatevi
affatto d'un amico che rispettate sì poco,
e che non credete degno di voi, d'un amico
però che vi amava e vi ama ancora moltis-
simo, d'un amico che si confessa colpevolis-
simo, ma nel quale voi non volete punto sen-
tire l'umana fragilità, d'un amico che
merita d'essere trattato anche peggio, ma


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che è inutile ormai e crudele lo affliggere ed in-
quietare; d'un amico che non vuole imporsi nè
cagionarvi più alcuna molestia nè dispiacere.
D'altronde a che valgo io, che valore, che signi-
ficato ha per voi la mia amicizia, quando si
hanno ben altri amici degni di ben altra stima e
rispetto: "amici (ripeto le sue stesse parole) ben
altrimenti serii; uomini di carattere e dabbene,
e in posizione di fortuna e di società assai
buone? Quanto alla posizione io sono povero,
anzi miserabile affatto, e infelice: quanto ad
un cuore non vile e onesto e fermo e capace
di affetti intensi e profondi, io so di averlo al
pari di chicchesia. Eppure, se io ho ben letto
tra le righe, parrebbe che Ella credesse il contrario
e non so per quale serio motivo. Ricordo
anche ciò che le piacque di dirmi in una della
nostre passeggiate di Cherbres. "Voi siete
come quel cane
". Era quel povero cane lassù
del Signal a me simpaticissimo perchè buono,
solitario e di spiriti indipendenti, ma che a
Lei non piaceva, e lo giudicava incapace, come
disse, di sentire vera affezione per qualche-
duno. Quanto alla Signorina Lee io, parlan-
dogliene nell'ultima mia, credei di parlarle


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di persona conosciuta da loro soltanto da ieri, cioè
da pochissimo tempo: non sapevo che le grand'inti-
mità e le affezioni quasi materne nascessero così
veementi ad un tratto. A ogni modo io non volli
screditare la Signorina, nè rappresentargliela sotto
cattiva luce. Io per il primo riconobbi in Lei
delle qualità rare come la mancanza d'ogni civet-
teria, la naturalezza e la schiettezza dei modi,
e un ingegno assai pronto; mentre mi parve poi
(e anche in questo avrò potuto sbagliare) che ella
avesse esigenze e suscettibilità poco ragionevoli:
mi parve troppo chiusa in se stessa o ne' suoi
pregiudizi, e poco atta a compatire e a comprendere
gli altri, ma, ripeto, posso anche in questo avere
sbagliato. Nell'ultima mia io dunque volli
soltanto mostrarle qual giudizio io facessi di
lei in quel momento, e premisi che "in quel
momento io ragionavo male: volli mostrarle in-
somma da quali condizioni dell'animo mio, da
quale ordine di pensieri io fui portato ad un
atto di cui io pure non mi credevo capace, e di
cui io stesso di poi non mi sapevo rendere conto.
Infatti subito dopo averlo commesso, mi parve
d'uscire come da un'allucinazione, e dissi alla
Signorina: "Che cosa devo fare? vuole che io
mi butti nel lago? vuole che mi butti sotto il


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il treno che passa? E per tutta la strada, che fu
lunga e affannosa, non cessai di chiederle scusa
d'assicurarla della mia stima, di supplicarla a
perdonarmi, e a non riferire ad alcuno quanto era
successo. Risposemi che per rispetto di sè non
avrebbe riferito la cosa; che la riferirebbe soltanto
quando io tornassi a ripeterla. L'assicurai che
ciò non sarebbe mai più avvenuto: Ella mi rispo-
se dolente si ma senz'ira; nel lasciarla io le
strinsi la mano, e giudicandola placata, mentre ero
tutto confuso, sentivo di doverle essere grato per il
perdono che mi accordava. La mattina dopo dunque
io non mi aspettavo da lei la lettera che qui le
trascrivo.

                  "Signor Pratesi,
          "È da lei trovare una ragione per andar
via: la perdono come ho detto, ma come ho anche
detto non è possibile avere alcuna stima per lei.
Come ho promesso non dirò niente ai suoi amici,
ma solamente sulla condizione che partirà fra
tre giorni."
                                    A. S. Lee.


    Io non partii subito perchè con una
partenza così improvvisa non si sarebbero potuti
evitare i commenti. Ma quella lettera della Signo-
rina confesso che mi fece una ben cattiva impressio-
ne, e provai per lei quel senso d'antipatia


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che io provo per tutto ciò che mi sembra gretto, esa-
gerato, ingeneroso, crudele. Forse il dolore mi face-
va essere ingiusto, ma mi sentivo tanto infelice,
così ammalato, così bisognoso di calma e di riposo,
e d'avere intorno persone amiche un po' affettuose
e indulgenti; tante cose io avevo detto alla signorina
la sera innanzi, tante altre ero pronto a ridirle
ancora, rivedendola; ero così desideroso di mostrarle
la mia rispettosa e devota amicizia, sentivo così
chiaramente d'essermi abbandonato a quell'atto
quasi senza volerlo e senza intenzione cattiva; che
il mostrarsene ella in tal modo offesa, e quella
lettera che veniva così contraria a questi miei
sentimenti, e alle stesse miti parole di perdono det-
temi dalla signorina la sera innanzi, tutto ciò
mi parve indizio d'un animo freddo e meschino,
e dominato soprattutto dall'orgoglio e dell'ego-
ismo. Così giudicai allora, nè in questo mo-
mento io ripeto un tale giudizio. Può essere
benissimo che allora io sbagliassi: ora io dico che
io solo sono da biasimare. So benissimo peraltro
che non sarebbero sorti in me que' pensieri, se
la Signorina, non so per quale ragione, non aves-
se voluto con insistenza, e contro la mia volontà,
lasciare la compagnia, e tornarsene sola con me.
Ciò che soffrii in quei giorni e per il lungo viag-
gio è noto a me solo. La collina del Signale di


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Cherbres
divenne per me penosa come un Calvario;
per viaggio fui proprio per perderne la ragione pas-
sando le notti quasi sempre a occhi aperti, e con
la testa vuota che mi girava come un mulino. Ma
ciò pare che non basti. Io feci quanto m'era
possibile in ammenda della mia colpa, ma è sempre
poco per voi. Pare che non basti l'aver confessato
il proprio torto, l'essermi profuso in iscuse,
l'aver dato alla Signorina tutte le riparazioni
che io potevo, scrivendole e partendo, come Ella
m'ingiunse, da un luogo dove io stanco e am-
malato ero venuto per mitigare un poco questo
male tremendo contro cui combatto disperatamente,
questa angoscia che mi divora da tanti anni,
che mi ha impedito e distrutto la mente e la vita.
Tutto ciò pare che non basti a placarvi, e a di-
sporvi a sensi piú benevoli e meno severi verso
uno sventurato.
    Altro non aggiungo che è inutile:
se parlassi fino a domani non sarei compreso.
Devo aggiungere solo che io non sapevo nulla
che il Sig. Roscoe fosse con la Signorina in
quella relazione di fidanzato. La nuova delle
loro nozze mi giunge soltanto ora, e non
posso non rallegrarmene di gran cuore e
augurare all'uno e all'altra ogni felicità.


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Quanto al Merlo, pensando che sarebbero passati
di Milano, incaricai lui, amicissimo del Sig.
Carlo e Suo, di dire ciò che io non avevo potuto
avendo Ella sempre schivato di trovarsi sola
con me. Quanto alla sua raccomandazione
è inutile: l'averlo detto per uno scopo ad
una persona di cui si ha stima e fiducia,
mi pare che non l'autorizzi, o Signora, a
credermi capace di ciarle indiscrete e inutili.
E riferendo la cosa al Merlo io me n'accu-
sai per il primo, e non dissi che il vero.
    Se Ella ha molte cose da fare, io
ho un centinaio di scolari ai quali ogni
giorno devo rivolgere la parola; ho lezioni
da preparare e da dare andando di casa
in casa: e sto orribilmente male.
Io dunque non rientrerò più in un argo-
mento di cui mi pare che si sia parlato
abbastanza.
    Mi rallegro del Sig. Carlo, e auguro
sempre meglio, e lo vorrei rivedere risa-
nato del tutto. Le sarò gratissimo se
me ne vorrà fare sapere le nuove di
tanto in tanto. Ma quanto al resto
basta, basta per carità! Mi perdoni


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la fretta in cui le ho scritto, e le ho scritto
con la mente e l'animo oppresso e quasi
impedito. Ella viva felice quanto glielo
augura di cuore

                        Il suo Devo Obbmo
                        M. Pratesi

 
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