Giuseppe Manni a Mario Pratesi

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[mano di Mario Pratesi: Manni]

                              [Firenze, a dì] 19 Giugno, 1915
 
Caro e onorando amico,

     Come non far buon viso
a una cosa Sua? Ho letta tutta
d'un fiato la Novella, ed è,
parmi, scritta come le sa scri-
ver Lei. Ma (lasci ch'io dica con
sincerità le mie impressioni a
un'anima come la Sua) ma che
buio da tutte le parti! Che ama-
rezza finale dinanzi a quel
morto in mezzo a una strada,
a quel Lapo che, specialmente
alle pagine 22 e 27, è diventato
per forza simpatico! Ciò che
Ella mi risponde lo so, e nel-
la Novella è scritto a pag. 6;
ma dopo le tenebre e la


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grandine di stamani, ora ci
è il sole, e forse domani la
giornata si porterà a una
descrizione mirabilmente lie-
ta, come quella a pag. 11.
     Mio buon amico, diciamo
pure che il male c'è, ma,
per conforto nostro ed altrui,
soggiungiamo che c'è anche
il bene, e al Sommo Bene, che
dunque dev'esserci, inchinia-
moci con umiltà amorosa
anche per le ragioni che
la Novella dice a p. 27.
     Che cosa non darei, perchè
in un'altra Novella, l'arte,


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tale arte, di Mario Pratesi,
accanto a Sigismondo e a Pel-
lagro, creasse un Lapo o una
Zoraide o un Romualdo a
mio modo?
     Debbo dire che La ringrazio?
piuttosto, stringendole col
cuore la mano, dirò che La
prego a volermi bene quanto
ne vuole a Lei il
                      dev. aff. Suo

                       p. Manni

 
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