Enrico Mayer a Mario Pratesi

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                                 Pisa 12 marzo 1869

Caro Sig.r Mario!

    La ringrazio della affettuosa sua
lettera, dalla quale mi è grato il rilevare
come Ella virilmente sopporti i suoi dolori.
La vita è una lotta per la quale fummo
creati da chi sa meglio di noi quello che fa.
Io ne ebbi la mia parte; e i ricordi della
mia infanzia sono memorie di sventure
domestiche – Ma i miei poveri genitori1 m'in
spirarono fin da quei tempi la fiducia nella
Provvidenza, e il dovere di fare ogni sforzo
per superare i colpi dell'avversa fortuna. Nè
si ristrinsero a parole, ma essi ce ne fossero
esempio; quando mio Padre ebbe la sventura
di vedersi spogliato in una notte d'ogni suo
avere!! Io me la ricordo tuttora quella terribile
notte! il mio letticciuolo era accanto a quello
de' miei genitori, e parmi ancora veder mio
padre entrar nella camera, e accostatosi a mia
madre, dirle che era stata sfondata la cassa del
suo banco, e portatone via tutto il numerario!
                                                   Eppure


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in sì terribil momento ebbe pur la forza
di aggiungere: "Ora dovremo su tutto far
la più stretta economia...su tutto! meno
sulla educazione de' nostri figli."E tenne
parola, dandone egli primo l'esempio col farsi
maestro di musica; mentre mia madre con
la sorella accolsero in casa alcune giovinette
da educare, ed io benchè giovanissimo cominciai
pure andar qualche lezione [sic].
    Non le scrivo, caro amico, tutti questi
particolari per farle io da maestro, ma unica-
mente per inspirare nell'animo suo quella
fiducia in una Provvidenza, che non ci abbandona
quando facciamo noi stessi quanto è in poter
nostro, onde sostener virilmente la lotta della
vita.
    Io non voglio prolungare queste esortazioni;
ma termino col pregarla di tornar presto a
scrivermi, assicurandola che valuterò questo come
un segno della sua amicizia, nella quale sarà
sempre corrisposto dal
                                  Suo affez.mo

                                   E.co Mayer



1. Carolina Elizabetta Masson e Benedetto Giacomo Mayer.

 
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