Plinio Pratesi al fratello Mario Pratesi

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Mario mio

     Dalla lettera che ho scrittto a babbo potrai
conoscere ed apprendere tutte le ragioni, cause etc
per cui finora sono stato zitto, senza rispon-
dere con una parola cortese alla gentilezza tua
e senza soddisfare il desiderio che mi hai mo-
strato di sapere il mio parere sopra i tuoi versi.
Per cui, lasciando da parte il lungo ragionare che
potrebbe tornar bene in questo punto sull'impo-
tenza e la pronta autorità del mio giudizio, en-
tro esabrutto nella materia e diroti: 1. come
migliore delle due canzoni1 mi sembra quella
a S. Caterina; 2: che tutti e due lavori dimo-
strano sopra tutto aver tu impresa in te stesso
la vera ispirazione poetica. Però quello dei colli
fiorentini non è (mi pare) ordinata; v'è troppa
profusione dei concetti soliti a risvegliarsi
per la vista della natura, tanto è vero che in cer-
ti luoghi pare che il canto tuo si affatichi a?
prolungarsi e s'indebolisca. La lirica
è tanto più sublime quanto più è la poetica
espressione dei sentimenti del poeta esaltato; quan-
to più è intrinseca e meno riposa su l'esterno,
l'osservazione, la vista, del quale essendo causa di essa
non può al tempo stesso enerva anche effetto.


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C'e però molto sentimento, specialmente da
chi a quei colli to dirò come rileghi una tua
memoria e di speranza prima e dipianto
d'amore. Venendo al particolare la forma è
piana e semplice e va bene; il verso è bello
fuori che in qualche punto che o scivola trop-
po od è arduo alla pronunzia: uno poi dei versi
(che io vorrei tolto) è affatto senza accento.
=rompea dell'ora misteriosa=, essendo impos-
sibile condurlo alla cadenza degli altri che
suonano come endecasillabi.
Poi una critica malignamente burlevole
potrebbe ridere dello sciupio dei volatili che
hai fatto, povere bestie! Ci si potrebbe guernire
un museo: infatti alla 5a strofa mi si fa
dinanzi una lodola, che io saluto gentilmente
e giulivamente; alla sesta ecco le tortore
e per di più tubanti (vocabolo proprio, ma
alto a risvegliare troppo l'idea per nulla[?]
serve), ed anche queste passino; ma ecco
nella stessa strofa venire le rondinelle
e nell'8a strofa un augello innamorato:
questa e la prima mandata (diremo noi)
di uccelli; poi alla 19a viene un augellino


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che piange, il quale è vero che non si vede ed è ascoso nel verde
vivo delle fronde aulenti =ma nonostante si
sente perché piange= del giorno i rai morenti=. Piutto-
sto chi legge, da che tu hai toccato quì e lei
delle vicende grandi e dei grandi e dei grandi animi che
furono di quella città che dai colli rimiri,
desidera che tx avessi riunite in un sol
punto della canzone le alte idee che nascer
dovevano appunto dal pensiero della gran-
dezza di Firenze (più grande forze di Atene),
lasciando la prima parte del canto alla natura.
Infatti il procedimento, l'ordine delle idee
di chi ritrovi in quelle colline è l'osservare
la bellezza della natura, la bellezza della veduta
di Firenze e poi salire grado a grado alle alte
immagini e alle calde parole che possono susci-
tare dal riflettere alla gloria cui giunse il
popolo che abitò quelle mura. Più sostenutezza,
più forza poetica, e alterezza lirica ha l'ode
alla santa: l'ordine che hai tenuto e mirabile,
e l'ordine costituisce tre quarti della bellezza de-
le cose (da che tutto, la simmetria, l'armonia sono
forme diverse dell'ordine) Cominci col dire
come fra la turba delle moltitudini che


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si succedono sulla terra vi sono = alme sublime = che
non passano oscure o infamate la vita loro:
fra queste è la tua eroina, la cui opra
tu confronti con quella di Dante dandole
lo stesso altissimo scopo, quello di combattere
il = nembo = che s'agitava dell'Italia in grembo.
Poi vieni a dipingere: dolci frutti di que-
st'opra ai tempi di lei o prossimi
lei e poi con bel contrapposto (che nasce dalla
diversa età) le consolazione [sic] che anco a' nostri
giorni da a i sofferenti il nome di lei: Ben
prendi da queste ultime immagini cagione a
combattere chi rompe ogni e non dà altro
all'uomo che disperazione. E ben riannodi alla
fede che Caterina ispirava a' Senesi
repubblicani la gloriosa difesa di Siena
in quei tempi in che fede e amor di patria
erano una cosa stessa. Chiudo dicendo degli
onori che si fanno alla santa il dì della
sua festa, e tu onorandola cogli altri le
chiedi una (passi il vocabolo) grazia, che è
altamente solenne e d'alto fine, riconducendo
tu stesso la religione all'opra santa e nobile
per cui creata. – Vedi che questo insieme2



1. Si riferisce alle poesie "Ai colli di Firenze. Ricordanze," estr. da Letture di Famiglia (Siena: Mucci, 1869) e "A Caterina Benincasa", estr. da Lettere di Famiglia (siena: Mucci, 1869) e prima su foglio singolo, senza titolo, presentata in modo seguente: "Nel 12 maggio 1867 Nella Chiesa della Nobil Contrada dell'Oca Celebrandosi la Festa Annuale di Santa Caterina Benincasa Offrono i Festeggianti agli"Illmi. Signori Patroni la seguente Ode" (Siena: Mucca, 1867).
2. Le pagine rimaste nel carteggio finiscono qui.

 
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