Igino Pratesi al figlio Dante Pratesi

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Carissimo Figlio

    Un'eco lontana ripercosso avevami
l'orecchie, e mi aveva fatto dubitare, che
Mario potesse essersi trasferito in codesta
città. Tal dubbio si è convertito in certezza
al seguito della tua lettera del=10=Ottobre
corrente, ricevuta dopo le ore 12 meridiane d'jeri.
    Esso è dunque costà, e quindi hà luogo di
meditare sulle passate grandezze di una città
che fù la Capitale del Mondo, e che disparve
sotto la falce inesorabile dal tempo e delle vi-
cende umane: passerà in rivista con la sua men-
te la falange innumerevole dei suoi grandi
uomini, le gesta dei quali inarrivabili, sono
tuttora il fondamento della nostra civiltà, e
del nostro diritto; ed in conseguenza conside-
rerà qual grave compito abbiano oggi gli italia-
ni, non solo per conservare e difendere il pre-
zioso tesoro, che finalmente hanno riacquistato
quanto ridonarlo alla gloria dei tempi nei
quali da per tutto spandeva la luce della civiltà.
Tutte queste riflessioni non possono che presentarsi
alla di lui mente; e quindi mi auguro che possano
giovarli a che finalmente ottenga una posizione
per la quale possa compare la vita onestamente
senza avere bisogno di nessuno, essendo la veri-
ficazione di ciò cosa urgentissima.
    Ti ringrazio poi del cortese invito che mi fai
di portarmi ancor'io a vedere codeste maraviglie
ma non posso profittarne per molti motivi,
fra i quali quello che la mia povertà che
ogni giorno cresce ed i gravi carichi che hò, non
mi permettono che incontri spese incomporta-
bili, e non necessarie. Alla mia età, e nella
mia condizione infelice, non si può essere poeti.
    Di Famiglia non vi sono notizie, se non Tito è ora
a Palermo, come saprai: quindi ritornando a Te ed a Mario
i saluti di tutti noi qui ci casa, resta così replicato
alla precitata tua del 10 stante. E dando a tutti
due la mia Benedizione, mi confermo:
                Affmo Padre

                Igino

 
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