Mario Pratesi al padre Igino Pratesi

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            Milano, 24 7bre '90

[altra mano: Ro: il 28 7bre
1890]

Caro Babbo,

    Ho aspettato a scriverle
di riprendere stabile dimora in Mi-
lano perchè durante quest'ultimo
mese la necessità delle cose mi ha
portato e a Como e a Lugano, e
poi una decina di giorni a Vene-
zia di dove tornai ieri sera
affaticato e non troppo bene di
salute. A Venezia mi costrinse
ad andare il pensiero di dar com-
pimento a que' miei ricordi con


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la speranza di pubblicarli in un
volume e ritrarne qualche vantaggio
pecuniario. Vedremo. Desidero molto
di ricevere le sue nuove che non ho
più avute dacchè me le dettero
buone e consolanti Checchina e Tito,
in sul finire d'Agosto. Scrivo
oggi stesso a Checchina, e dirigo
la lettera a Roma, immaginandomi
che costà avranno lasciato la
villa presa in affitto.


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    È un pezzo che non ho nuove di
Plinio, ma so da Dante che egli si
trova a Perugia, e desidero che vi si
trovi più contento che a Cagliari.
Dai giornali che egli inviò si
vede che ha lasciato di sè eccellente
memoria attestata dell'ovazione
spontanei di quei cittadini. E quasi
non bastasse, egli ha voluto pur la-
sciare un ricordo poetico della sua
dimora nell'isola, in quella poesia


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che può riguardarsi come l'inno
nazionale della Sardegna.
    Nella redazione del senatore
Tabarrini sugli esami di licenza
dell'anno scorso, i miei scolari son
ricordati come quelli che dettero sag-
gio migliore. Ma che importa la
lode? Nulla si fa per migliorare
la nostra condizione e io rimango
con lo stesso misero stipendio e con
la stessa grave e logorante fatica.
    Tante cose a Corinna, ed Ella
mi benedica e mi creda con un abbraccio
            Suo aff. Obb Figlio

                     Mario.

 
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