Niccolò Tommaseo a Mario Pratesi

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[mano ignota]


P[regiato]. S[ignor]. P[ratesi].

      Ella sente nell'anima le bellezze della
natura e dell'arte, e assai volte nella
parola le rende sinceramente. Rade le
locuzioni che stuonano; come l' ala fiammante
d'un cherubino, il suo occhio era aperto soltanto
sul proprio abisso, e quel canto de' teschi,
assomigliato al gracidare di rane. Tra le
non volgari bellezze di questo lavoro io non
porrò certamente gli accenni in cui l'uomo
misero incolpa d'ingiustizia l'umana società
e la natura e Dio, e quelli che feriscono
i preti in genere e la pietà religiosa, non
solo perchè di cotesta ragione tutto il bene
del quale si abusa si tinge di nero; e
spariscono Nevio e Diomira, e Jacopo e
Marianna, ma perchè le son cose oramai
troppo trite, e ridette da ingenui e da animi
fiacchi. Siccome il male dell'arte abusata e
dell' amore profanato combattesi meglio coll'


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esempio di Nevio e di Marianna che con quelle
del signor Pierino e di Candida; così le
superstizioni e le ipocrisie da' fatti e dalle
parole di preti buoni e di buoni Fedeli avvebbero
miglior medicina. Senza smettere il verso, Ella
scriva (chè ci ha ancora più mano) la prosa:
s'attenga al linguaggio vivente, siccome fa
con disinvoltura e sceltezza; ci si attenga
anco nelle minime cose, guardandosi da certe
forme che nel parlare non s'usa, a quel
ch'io ne so, parevagli d'entrare, struggevasi
di sentire, affacciosi. Non so se in toscano si
dica ondulare di fiori; ma non credo che una
madre sul corpo del figliuolo suo morto,
direbbe Jacopo, figlio! Senonchè tante cose ho
qui io da imparare, che solo il desiderio di
dimostrarmele non trascurante della sua domanda
modesta, sento poter essere scusa alla mia impertinenza.
27 Settembre 71 Firenze                    dev.
                                                     Tommaseo

 
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