Mario Pratesi a Manfredo Vanni

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                    Tosi (Firenze) 12.8."15

Caro Manfredo,

    Devo al tuo libro "Casi etc."
alcune ore di vero diletto che la tua arte gioconda
mi ha procurato, e l'uso di quella nostra
lingua paesana, corretta dall'abito
letterario, in cui tu sei insuperabile.
Ilari i fatti e ilari i personaggi, mostrasti
questi dall'unico lato, della loro furbizia, del
loro acume naturale birbesco che ora vin-
ce, ora è vinto nella misera vita
di quei piccoli borghi maremmani di cui tu sai
tutti gli usci. E ne vien fuori come la festo-
sa serenità d'un diario comico qual'è
nei nostri antichi novellieri (nel Sacchetti
specialmente) con più moderata licenza, e
con lo stesso lieve schermo dell'impostura
religiosa. Quel tipo toscano dei luogucci e anche delle
città, mezzi'incolti, senza nessuna vita in-
teriore, ancora un po' primitivo, e nondimeno
già un po' cinico senza saperlo,
desideroso d'apparire e d'essere più scaltro
di tutti; questo tipo ben lo rivedo


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in tutti i tuoi per-
sonaggi; i quali sono tutti corbellati o cor-
bollatori: lo Sdringhetti, Mechetto sarto
e Cecchino barbiere, la sora Palmira,
il Biagini, la Mea delle uova, il To-
fani, i birri di Boboli; e gli altri della
novella che seguono, nel genere loro, per-
fette: "il prete Nardi" La strage
degl'innocenti "e quel frate
francescato, lumeggiante in sobrio
e forse rilievo
d'arte finissima... E sapendo scriver
così, tu hai potuto inviarmi il libro
con quelle parole di dedica... "quasi ver-
gognando!" ... Un po' canzonatore
tu mi paresti sempre, fin da quando
s'era insieme colleghi a Milano.
    L'ultima novella del libro è pur es-
sa una burla gustosa, e benissimo scritta, ma chiude
un sofisma. Altro è dire non c'è la verità,
e altro il non sapere ove
stia di casa. L'esterna ignoranza umana è
parte della nostra infinita
miseria, ma la verità nei fatti partico-
lari si può trovare e si trova, non nel
tutto che è per noi un tremendo, e quasi vorrei


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dire orrendo mistero. Ora vorrei rispondere quattro parole alla
tua ultima lettera. Non l'ho qui sotto gli occhi, ma ricordo che
parlandomi della mia novella, ne lodavi la varietà dei soggetti, e
pareva in ultimo contradirti dicendo
che il procedimento e la favola
di esso erano sempre quel medesimo;
e ti domandavi perchè io, pur con elevati
propositi, mi dimostrassi poi così affezio-
nato alla gente corrotta. Scuoprire il
marcio dei nostri costumi, l'abisso che ci
scaviamo, vuol dire questo? Io invece
credevo che da quanto bene o male m'è uscita
dall'anima e dal cervello
apparisse ben chiara la mia avversione


[in margine, a sinistra]

pei tristi falsi e corrotti


e la mia franca simpatia per gli onesti
e pei generosi. Or vedi, caro amico, come sia facile
illudersi e anche il non esser compresi! Ma basta:
non val la pena di spendere altre parole
su quelle mie inezie.
    Addio, ricordami a tua moglie
e credimi, come sempre
                                     tuo aff. amico

                                          M. Pratesi

 
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